a cura di Marcelo Alvarez
Kledi Kadiu, arrivato in Italia sotto una buona stella, imprenditore di se stesso, conduttore televisivo in un programma che si occupa esclusivamente di danza su RAI 5, direttore di una scuola di danza “La Kledi Academy” in via Castro dei Volsci 3 in zona Arco di Travertino, tra innumerevoli serate e ospitate televisive ha trovato il tempo di svolgere un ruolo da protagonista nello spettacolo “Contemporary Tango” tenutosi al teatro Vascello, dove danza sui classici di Pugliese e di Astor Piazzolla.
Quest’uomo ha fatto veramente la gavetta, ha lavorato nei migliori teatri come anche in teatri di secondo rilievo girando città italiane come Mantova, Rovereto e tante altre e non rinnega il suo passato di artista itinerante, con tutto ciò che questo comporta.
Raccontami i tuoi inizi ed il tuo percorso.
Sono nato a Tirana, in Albania, sotto il segno dell’Ariete, e come tutti i bambini della mia età giocavo a fare il ballerino eseguendo la musica folkloristica del mio paese o la musica popolare nelle rare feste che ancora si facevano nel mio paese. Fu mio padre che vide questo mio interesse per la danza e mi propose di iscrivermi all’Accademia Nazionale di Tirana. Avevo dieci anni, passai il provino e fu come un sogno entrare a far parte dell’Accademia; qui cominciò la vera tragedia, facendo tante rinunce e tanti sacrifici, ma ero determinato e questo vale per me e per tutti i bambini che intraprendono la carriera di ballerino, che sanno benissimo cosa significa a un’età così precoce dover rinunciare ai giochi con gli amici. Dopo otto anni di formazione e di duro lavoro in accademia a Tirana è nata la vera passione, poi iniziò l’avventura Italiana, lavorando e vivendo a Mantova, Verona, Milano, Rovereto.
È un po’ paragonabile alla carriera del calciatore quella del ballerino, finisce presto: tu adesso ti senti di giocare in serie A o in serie B ?
Beh! Paragonando la carriera del ballerino a quella del calciatore, possiamo dire che entrambe le professioni finiscono presto, ma non mi è mai piaciuto paragonare la danza come di serie A o di serie B.
Quando stavo a Rovereto ho fatto dei lavori non dico umilianti, però facevo quello che c’era da fare, a 1500 metri a Cabalese nei campeggi a Jesolo mi sono improvvisato maestro, ma il mio sogno era ballare, la danza non era l’unica fonte di lavoro per poter sopravvivere, e Mantova è stata molto difficile per me… Mi è costato molto anche adattarmi alla nuova cultura, il modo di stare in compagnia, l’idioma, i costumi, la situazione politica e sociale in quel momento non era come adesso, oggi si è migliorato.
Adesso si può parlare di integrazione o è ancora presto?
Ho sempre odiato questa parola perché sembra che tu debba chiedere permesso per vivere in un posto che tu hai scelto e che hanno scelto per te per vivere la tua vita: io lo paragono ad un arricchimento di cultura, ad un scambio, ecco, credo questa sia la parola giusta da dire. Ancora adesso come venti anni fa esiste un pregiudizio verso le persone che arrivano, per esempio mi chiedevano di dove ero e io dicevo albanese, “e che fai?”, faccio l’artista, il ballerino. E lì la cosa cambiava, si spezzava il filo teso!
Passando al tango, come sei arrivato a questa danza che è Patrimonio dell’Umanità? In questo periodo hai presentato uno spettacolo con musiche classiche di tango e di Astor Piazzolla al teatro Vascello, raccontami la tua esperienza.
Comincio a dirti che non ho mai pensato di fare uno spettacolo di tango, ma la premessa che faccio è che il tango che ballo con il Balletto di Roma non è il tango che la gente ormai conosce e pratica nelle milonghe, bensì è un tango coreografico, contaminato dalla danza moderna, dove si racconta comunque una storia sociale e d’incontro in un posto tanguero, appoggiati alle musiche di Astor Piazzolla ed Osvaldo Pugliese, ma non ha niente a che vedere con gli spettacoli di Tango argentino.
È difficile scappare dalla forza interpretativa del tango, mi è capitato nelle mie esperienze di ballerino di dover interpretare coreografie con musica di tango ma che di tango avevano ben poco, o meglio solo la Musica. Quando mi chiedono: “ma tu il tango lo balli?”, io rispondo non so ballarlo come si dovrebbe, infatti nello spettacolo ci sono due persone che rappresentano lo spirito con il quale si balla il tango, entrano ed escono, si intravedono, sono due persone che ballano normalmente, poi devo dire che la conoscenza di Elisa Baccarino, Italiana, critica di Tango, è venuta un po’ per caso, senza forzature, ma essendo un ballerino come può la musica del tango non toccarti dentro? Il mio innamoramento con il tango è stato con la musica.
Che struttura ha questo spettacolo?
Questo dovrebbe raccontarlo la coreografa, ma visto che ho partecipato attivamente alla coreografia ti posso dire che racconta quello che succede in una milonga: la gente arriva, si cambia le scarpe e i pantaloni, le musiche sono una scusa per la coreografia contaminate con la danza contemporanea.
Che sensazioni ti porta questa musica -ovviamente non hai ascoltato solo Piazzolla, venendo tu da un’altra cultura a cui quel suono del tango non appartiene, ma comunque ti arriva?
Non c’è solo Piazzolla, ma anche Osvaldo Pugliese. La musica del tango porta con sé la passione, il dolore, la nostalgia, cose che si sono lasciate indietro.
Con questo spettacolo e le sue musiche sei approdato ad un’altra cultura: hai mai pensato di approfondire la tua formazione tanguera, e un domani di impararlo seriamente?
Sono sempre in tempo. Non vorrei offendere i ballerini classici anche perché io vengo da quel mondo e per diventare un ballerino classico ci vuole sacrificio, ma il tango ti dà questo privilegio e tempo, tu puoi impararlo e ballarlo all’età di sessanta anni, però non è come la danza classica dove ci vuole una certa forza, virtuosismo, anche se ho 43 anni le carte si sono giocate un po’ così, io non volevo finire a ballare il tango, non ho imparato il flamenco, solo le nostre danze di carattere. Anche sul classico, quando interpreti il tango non puoi fare la mimica del viso, ti lasci prendere e andare, questo è successo con me: un conto è ballare un brano, un altro è fare uno spettacolo. Il tango ha la forza di unire tutte le classi sociali trovando un sogno, e questo aspetto l’ho notato andando nelle milonghe dove ho visto che la gente si sente fiera di quello che fa.
Ultima domanda: quanti volti ha Kledi, imprenditore, attore, direttore di un’accademia, conduttore televisivo e soprattutto ballerino?
Mi piace questa domanda, due persone me l’hanno fatta, io cerco di vivere la giornata appieno, se la giornata avesse 50 ore io ci sarei appieno!
Nell’ultimo film molto premiato di Daniele Vicari “La nave” sono stato testimone, mi ha fatto piacere che non ci abbiano visto come dei mostri che arrivavano in Italia bensì come persone che cercavano un futuro migliore.