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GARDEL SI PUÒ BALLARE!

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Stefano PetuccoCarlos Gardel: un mito della storia del tango. Chi può dire di non aver mai ballato sulle note di Por una cabeza? A Roma c’è un musicista solista che ha deciso di fare concerti esclusivamente con il repertorio del famoso cantor: Stefano Petucco. Chitarrista, polistrumentista e compositore, approfondisce la conoscenza del jazz e di diversi generi musicali tra cui il tango, fondatore del gruppo Amargura, attualmente insegna alla scuola di musica MMB Studios e si esibisce in concerto nelle milonghe romane e laziali. Conosciamolo meglio. E sfatiamo il pregiudizio che Gardel non si balla!
La tua è una formazione musicale tout court: perché hai incluso anche il tango nei tuoi orizzonti?
Ho scoperto il tango più di 15 anni fa perché il mio compagno di banco del liceo era argentino. Quando è tornato in Argentina mi ha invitato ad andarlo a trovare, riempiendomi la testa con il tango! Sono andato nel 2001 e già suonecchiavo un po’ Piazzolla, poi è avvenuto l’innamoramento di Gardel e Goyeneche e ho iniziato a studiare più seriamente il tango classico e soprattutto Gardel perché per me è il massimo. L’anno scorso sono tornato in Argentina e ho fatto due concerti: uno a La Plata e un altro nel quartiere Palermo di Buenos Aires. Quindi mi sono avvicinato al tango per la conoscenza diretta di persone di lì.


Sei molto attivo nell’ambiente romano, hai fatto varie collaborazioni, giri parecchio…
Ballo da tre anni, frequento parecchie milonghe suonando e ballando, sì sono molto presente nell’ambiente.
Fai anche parte del gruppo Amargura
Sì. Dato che ultimamente abbiamo suonato molto ci siamo presi una pausa, anche perché attualmente il pianista è in tournée con Simona Molinari (un’artista che ha fatto anche Sanremo). Con il bandoneonista Josè Capuano stiamo tentando di tirar su un repertorio in duo.
Parlaci della tua concezione della chitarra jazz nel tango, e dei punti di contatto che hai rintracciato fra i due generi.
La mia idea è quella di applicare al tango una mentalità jazzistica, ossia non suonare il brano con soltanto il tema e la melodia principale, ma applicando anche improvvisazioni. Il concerto jazzistico si riassume in tre punti: introduzione, tema e improvvisazione. Per improvvisazione si intende un assolo sulla struttura di accordi di tutto il brano, quindi non è che vai a sconvolgere chissà quanto! L’improvvisazione pensata per i ballerini rimane sul compas del tango, sulla struttura suonando degli assoli per poi rientrare sul tema e chiudere. Questa è l’idea. La cosa  fondamentale è il rapporto tra musicista e ballerino: nel tango il ballerino si muove in base alla musica, per cui è come se ci fosse un rapporto di coppia in cui l’uomo / musicista invita dando l’impulso ritmico o espressivo, e la donna / ballerino a seconda di questo impulso si comporta di conseguenza (ad esempio se stai marcando una parte più ritmata). Quindi è il musicista che ha la prima parola e che deve dare il primo impulso, a differenza del flamenco in cui è il ballerino a dettare i cambi di sezione del brano. È il musicista a far evolvere il brano.
Normalmente si dice che ogni due battute devi cambiare il modo di accompagnare, ma non è sempre così, ci sono brani che dall’inizio alla fine  mantengono la stessa ritmica, oppure puoi cambiare ogni quattro, dipende dal momento: se stai facendo un assolo e vedi che i ballerini stanno facendo delle evoluzioni non è che ti metti a bloccare la cosa, continui con la marca pesantemente per far capire loro che è una parte ritmata. È un modo di parlare attraverso la musica mentre i ballerini parlano con il corpo, quindi ci può essere un sincretismo tra i due.
Questo in teoria. Ma in pratica?
In pratica può succedere che non ci si capisca. Sta al musicista essere il più comprensibile possibile soprattutto sui finali che sono il momento clou del ballo: se si sta improvvisando, rimanere sul ritmo e se si vuole decelerare bisogna farlo in modo graduale e comprensibile (ad esempio, se vuoi fare un finale molto rallentato parti quattro battute prima e lo rallenti). Alla fine si improvvisa ma rimanendo in una struttura comprensibile.
In base alla tua esperienza personale, in genere i ballerini ti seguono?
A parole riscontro molta diffidenza, specialmente su tre punti: il repertorio, il fatto che sono solista e l’improvvisazione. Repertorio: Quando dico che suono la maggior parte di pezzi di Gardel la gente dice che non si balla! Magari il misto di Gardel non si balla, ma il brano risuonato col compas giusto si può ballare. Solista: Il fatto che ultimamente sto suonando da solo genera diffidenza perché la gente è abituata a vedere formazioni più grandi (anche duo/trio). Inoltre, vedendo una chitarra che da sola fa tutto, cioè accompagna e fa il tema, pensano: non ce la fai a farmi ballare. Ovviamente è tutto più piccolo e leggero e fatto solo con la chitarra, ma hai anche il basso che dà la pulsazione e tutto è fatto a tempo.
Improvvisazione: Il tango è una musica che non si improvvisa, se senti i musicisti, mentre per i ballerini sì! Non si deve fare per forza  l’assolo/improvvisazione, però se uno ha questo tipo di approccio non si può tarpargli le ali, se riesce a fare una musica ballabile non ci deve essere il pregiudizio che l’assolo non è ballabile, è difficile ma si può fare. A parole riscontro diffidenza quando dico quello che faccio, quando suono e non dico nulla invece ballano senza problemi! L’anno scorso suonando a Tangofficina ho stravolto un po’ i brani: ho fatto l’inizio del tema e poi improvvisazioni senza ritornare sul tema. È andata bene uguale, quindi anche se sconvolgi un po’ la struttura al ballerino non interessa, interessa fondamentalmente che vai a tempo, che dai una pulsazione ritmica importante.
La tua scelta di suonare solo con la chitarra è molto classica, richiama molto le origini del tango…
Sì. Essendo un grande fan di Gardel, tantissimi tanghi lui li ha fatti con il trio di chitarra, c’è una sonorità tipica del trio di chitarra. Alla fine il mio è un richiamo alla tradizione, e infatti non ho mai suonato il tango con strumenti elettrici.
Hai composto tanghi?
Sì, la “Milonga per Rita” in stile Piazzolla-Oblivion, lentissima, tema strappalacrime.
Com’è comporre tango?
È facile cadere nel cliché della chiusura “tan-tan”. Il tango classico ha una struttura semplicissima: ha una parte A e una B; A può essere Maggiore e B Minore e viceversa. Gli accordi sono pochi e fatti a triade, sempre molto semplici; a volte un tango è fatto da tre accordi. Comporre tango in maniera classica penso che non sia più attuale, anche perché Piazzolla ha dilatato le armonie, mettendo un sapore più jazzistico al tutto. Bisognerebbe comporre tango con un’impronta alla Piazzolla, più moderno con armonie più complesse. Ma non è detto che debba essere per forza così: il tango deve venire.
Prossimi impegni nel tango?
Attualmente sono concentrato sulla registrazione del mio secondo disco che non è di tango. Il prossimo anno però voglio fare un disco completamente di tango, di chitarratango (tranne due pezzi), repertorio sempre di Gardel e basato sull’improvvisazione jazz.
Claudia Galati

 

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