Miguel Angel Zotto in scena al Teatro Olimpico dal 4 al 16 ottobre. Il resoconto/recensione di un simile evento travalica la collocazione nella consueta rubrica degli spettacoli per accaparrarsi il posto in prima pagina. Erano anni che Zotto non si faceva vedere sui palcoscenici romani, e questo ritorno tanto atteso con due settimane di repliche non ha smentito l’amore che il pubblico prova nei confronti del ballerino più famoso del mondo.
Splendidi costumi, originali ed evocative le immagini proiettate sullo schermo con effetto cinema, una compagnia invidiabile di dieci ballerini preparatissimi e tecnicamente impeccabili, ottima selezione musicale, orchestra di cinque elementi e cantante dal vivo: questi gli ingredienti di uno spettacolo che ricostruisce la storia del tango dalle origini ad oggi in maniera curata nei minimi particolari, con una prima parte più narrativa e più riuscita della seconda.
Buenos Aires, 1890. La prima scena si presenta davanti agli occhi degli spettatori direttamente sullo schermo, in stile fantasmino Casper. È il tango dei primordi, per cui a ballarlo sono solo gli uomini. Nel secondo quadro, il 1912, i bravissimi ballerini introducono l’entrata in scena di Zotto sotto mentite spoglie: quelle di El Cachafaz, che si presenta sullo schermo mentre balla tra una casa e l’altra del “barrio” (effetto spettacolare!) per poi proseguire sul palco, riproponendo il più famoso tanguero della storia in versione scanzonata e divertente. È l’epoca della Cumparsita. Terza scena: sullo sfondo rurale della provincia emergono Gardel e la chacarera. La quarta epoca propone una scuola di ballo dove Cacho Lavandina inventa il giro con una corda appesa al soffitto e gli “otto” con aste da ginnastica ritmica, per l’esigenza di adeguare i passi ai nuovi arrangiamenti musicali: da De Caro e Fresedo si passa infatti a Di Sarli e D’Agostino. Quinta scena: nell’ambientazione di una radio entra l’orchestra dal vivo che suona Gaultier (Milongueando en el ’40), e anche Alberto Podestà interpretato dal cantante Claudio Garces. In questo periodo troviamo anche Troilo-Manzi. La sesta scena ripropone le discipline sportive più in voga negli anni ’40: calcio, pugilato e corse dei cavalli. Molto suggestiva e raffinata la settima scena, in cui ogni coppia incarna alcuni tra i più famosi ballerini del ‘900 appartenenti ad epoche e stili di ballo differenti, differenza che si rispecchia anche nei vestiti: nel ‘20 Rodolfo Valentino; nel ‘40 Veloz-Yolanda; nel ‘50 Fred Astaire e Cyd Charisse; nel ‘60 Coco Chanel; nell’83 Tango Argentino di Zotto stesso. In uno dei filmati, non manca il tributo al fratello Osvaldo (1943-2010). L’ottava e ultima scena rappresenta l’età moderna (e forse anche per questo lo spettacolo a questo punto diventa più caotico e meno coeso), in cui i poliedrici ballerini recitano, ballano e suonano bene in ugual misura. Zotto nel frattempo esegue i consueti giochetti di gambe a lui congeniali che tanto esaltano il pubblico, assecondato da Magdalena Valdez che sostituisce la compagna incinta Daiana Guspero. In sottofondo, campionamenti elettronici e le musiche di Pugliese e Piazzolla con l’immancabile Libertango.
Alla fine della prima, siamo riusciti a rivolgere qualche domanda allo stanchissimo ma felice Miguel Angel Zotto, uno dei fautori della rinascita del tango nei giorni nostri.
Qual è il tuo rapporto con il teatro?
Io sono nato per il teatro, senza di esso non posso vivere! Tante volte non va bene e ci rimetto economicamente perché la compagnia è composta da molte persone, però lo faccio lo stesso non per i soldi ma per il pubblico, per trasmettergli un messaggio. Perché il teatro è rappresentare l’espressione, la creazione di questa gente che ha dato vita al tango. Cacho Lavandina ad esempio, che cito nello spettacolo, ha inventato tante cose intellettuali per la danza per unire i milongueri. E disse veramente: “dobbiamo cambiare il tango”. Il teatro è quindi una forma d’espressione per raccontare una storia.
Dello spettacolo ci ha colpito l’uso delle immagini, anche d’epoca…
Le immagini di Cacho Lavandina le ho registrate io stesso tanto tempo fa. Mi sono successe cose importanti nella vita. Io sono nato per divulgare questa cultura, la cultura del tango, per rappresentare questa gente che non è mai stata sul palcoscenico, lo spirito di queste persone sta intorno a me.
Non a caso sei considerato l’ambasciatore mondiale del Tango… Che responsabilità comporta questo ruolo?
La responsabilità sta nel dire la verità ed essere sinceri con se stessi: se non mi emoziono io per primo non posso emozionare, quando l’emozione non è vera la gente lo capisce. Inoltre, bisogna dare sempre cose diverse, vere e autentiche alla gente. Per me è lavoro e amore, perché in quello che faccio ci metto tutto il cuore. Sono importante, ma se non invento non si fa nulla.
Cos’è il Tango secondo Miguel Angel Zotto?
Il Tango per me è la mia vita. In generale, è ciò che è successo agli emigrati a Buenos Aires, è la rappresentazione di un popolo che non aveva un’identità perché racchiudeva diverse culture. È un’idea che s’identifica con una grande metropoli di tre milioni di persone provenienti da tutto il mondo cui mancava una musica, una danza, una parola comune. Importante è infatti la metafora della scrittura, la forma di parlare dei figli degli immigranti, è l’identità di un grande paese senza una storia, di un paese “nuovo”: avevamo solo mucche e indios! Mancava quella identità, quella cultura del tango.
Cos’altro ti riserva l’immediato futuro?
Presto diventerò padre: Daiana è incinta di due gemelle!
Sul piano lavorativo invece, mi manca solo il cinema. E in effetti ho già una storia quasi finita…
Claudia Galati