La maestra e attrice Alicja Ziolko racconta se stessa e l’esperienza di CombatTango
Di cultura e formazione di matrice nord-europeista, di larghe vedute e aperta all’interscambio culturale e disciplinare, intelligente e schietta, tango e teatro si intrecciano nella vita e nel lavoro di Alicja Ziolko, artista residente in Italia dagli anni ‘90, in maniera quasi indissolubile. Il nostro stimolante incontro è stato più uno scambio d’opinioni che un’intervista, e ha portato luce sull’esperienza che Alicja ha proposto al Teatro Valle Occupato dal 2011: lezioni di tango e “CombatTango: la milonga disperata”.
Com’è nata l’idea di CombatTango, e perché è una milonga “disperata”?
Sono stata occupante dal primo giorno. Quando ho lanciato l’idea di fare una milonga sul palco i miei compagni sono stati subito entusiasti. Dalla nostra grinta deriva il significato, dal nostro combattere il nome. Abbiamo capito che il tango avrebbe potuto unire le persone in questo momento difficilissimo. Credo che la crisi sia molto adatta per la natura del tango: tutto è più spontaneo, più sincero, quando tutto è a portata di mano senza dover combattere per ottenerlo c’è più il rischio che potrebbe diventare una moda, un capriccio, un lusso e non un’esigenza.
Quest’ultima quando diviene un’urgenza, come l’aria e l’acqua, diventa “disperata”: da qui il termine per la milonga. Per questo la crisi mi sembra vicina al tango. L’Italia è disperata, quasi tutti quelli con cui parlo adesso dicono di essere in qualche modo in questa situazione “disperata”. Letteralmente “disperato” significa “senza speranza”, ma la disperazione può essere costruttiva perché non avendo più niente da perdere ti può far agire. Ed è questo che abbiamo fatto noi al Valle occupato. Nel momento storico in cui è nato il CombatTango c’era ancora “Mr B.” (lo chiamo così), nell’aria però c’era la sensazione di cambiamento, c’era una disperazione così grande, tanto da aver bisogno di stare insieme e di confrontarsi su tutto. CombatTango nasce proprio da questo: perchè allora non un confronto tra arti tipo quella del tango e del teatro? Il confronto può creare problemi interessanti che possono far nascere nuove idee. Con il Combat c’era l’idea di coinvolgere gli artisti in un mondo più preciso e tematico. Così lo spazio teatrale è diventato il protagonista: abbiamo tolto le quinte e illuminato fino al soffitto (è alto 18 metri); il secondo interlocutore è il pubblico; il terzo, se sopravvive al confronto con i primi due, l’attore.
L’ipotesi che la milonga può essere vissuta all’interno di un teatro mi interessa tantissimo, perché la vita del tango vive in modo “teatrale”: vivi abbracciato di fronte a tutti. CombatTango è lo sviluppo di questo sogno della milonga in cui tu immagini dove andare, chi vedi e agisci in questo mondo definito per quella sera. Pensare che stai in uno spazio, in una milonga in cui i tangueri si mischiano, si confondono, si tramutano in dei personaggi, con persone precise che osservi, che hanno il loro perché e la loro personalità: l’idea di CombatTango era anche far vivere e parlare questi personaggi di ciò che percepiscono del momento, di ciò che succede. L’ultima volta un’attrice russa ha recitato in russo e una coppia la accompagnava ballando, e ci sono stati ballerini che danzavano sulle corde, su musiche di tango: una possibilità di aprire nuovi canali e confronti. Uno spazio in cui gli attori si mischiano sulla scena con i tangueri e non sai chi è un tecnico e chi un’attrice, forse quella che vende i biglietti è un’attrice, forse un malavitoso, forse un angelo che ti vuole dire qualcosa… sei sbilanciato, non sei più al sicuro, c’è sorpresa e rischio.
Altra meta è mettere sul tavolo cos’è il tango oggi, come confrontarlo e aprirlo al mondo che non è tango. Prima della milonga c’erano lezioni aperte al pubblico, ed era molto bello vedere la commozione sui visi delle persone che dalla platea forse per la prima volta salivano su un palco… Molti rimanevano anche seduti senza ballare, a godersi l’atmosfera e le immagini, non a fare da tappezzeria. Così sei parte integrante dell’atmosfera anche da pubblico. Tra quest’ultimo c’erano mischiate persone che non avevano mai ballato il tango. In genere, se non balli non vai in una milonga, mentre con il Combat erano tutti uniti, mischiati, ballerini e non. Ma il successo di pubblico che ha accolto l’iniziativa è dovuto anche all’importanza storica e all’incredibile bellezza del Teatro Valle.
Ballare su un palco inclinato come quello del Valle è difficile, ma così si è costretti a cambiare il proprio asse, il modo in cui ci si muove… Anche la vita è in discesa o in salita, è una sfida. “Combattere” per andare su e giù, da una parte dove non sei stato. La parola “combattere” potrebbe sembrare violenta, ma può anche significare creare possibilità di confrontarsi con nuovi modi e culture diverse per vedere le scintille. Abbiamo ospitato musicisti bravissimi di diversi stili che ci hanno deliziato anche con musiche originali composte appositamente per la serata, si sono visti solo poco prima di suonare insieme e alcuni si conoscevano per la prima volta quella sera!
L’idea era di ricreare una mescla di diversi stili e culture, come succedeva al tango degli inizi: un miscuglio di habanera, candombe, mazurka, valzer, l’armonia classica europea… una vasta gamma di suoni, culture, personalità. Oggi c’è conformità: possono esserci anche orchestre molto brave, ma alle volte manca personalità. Suonare dopo solo un’ora dal primo incontro è rischioso, e così è anche per gli attori: quando una cosa non funziona si capisce subito e non hai il lusso del tempo, devi prenderti il rischio di agire subito. Questo è molto stimolante se lo fai così, ma non sempre si ha il coraggio di prendersi questa responsabilità per paura dell’ignoto. Il pubblico stava con te perché aveva riconosciuto questo rischio, e perché c’era sempre un dialogo con lui, un’interazione.
Quindi c’era uno stimolo alla partecipazione del pubblico?
Sì. Oggi c’è tanto teatro morto che usa la scusante della quarta parete. Paghi il tuo ingresso e ascolti, applaudi per la presunta bravura anche se non è effettivamente successo niente... Il teatro potrebbe invece essere un momento di interscambio, si può creare un cerchio di scambio di energia, non essere semplicemente una performance a senso unico. È come il tango: dicono che il tango sia fatto minimo da tre persone, due che ballano e una che lo guarda, c’è un terzo occhio. È importante che gli attori dopo si confrontino con questo occhio, il pubblico, e viceversa, forse bisogna riscoprire e sviluppare questo aspetto. Il valore dello scambio è importante anche per dire che cosa non funziona, cosa è arrivato della teoria e che cosa invece non è arrivato nella pratica. Nel tango c’è lo stesso problema: si assiste ad alte performance, ma cosa è successo nella realtà? Forse niente. Forse siamo abituati ad applaudire alla bravura tecnica e basta, senza confrontarci realmente, assistendo passivamente a qualcosa che ci si propone senza poterlo criticare.
Anche la teatralità della politica e dei media sembra a volte più importante della sostanza e del pensiero. Forse è venuto il momento di dichiarare con fermezza che abbiamo più l’esigenza di persone che non hanno bisogno del palco al mero scopo di autocelebrarsi, di ottenere l’attenzione dal terzo occhio solo per se stessi: il buon attore deve essere INVISIBILE. L’artista deve accendere la fiamma, e dopo andare via e lasciarla bruciare per riscaldare il popolo e i posteri.
Uno degli scopi del Combat è sensibilizzare i milongueri al problema della crisi in cui versa la cultura in Italia, e allo stesso tempo è portare il mondo del tango in teatro?
Si, anche, ma gli italiani conoscono meglio di me la crisi culturale che c’è in Italia. Piuttosto, l’idea era anche sensibilizzare i ballerini alla teatralità del tango. Spesso nel tango nelle cose tragiche c’è ironia, mentre a volte il tango si prende troppo sul serio. Se siedi in milonga e osservi intorno a te ti può venire anche tanto da ridere, perchè trovi situazioni anche comiche. Bisogna trovare ironia in qualche modo nelle cose tristi e disperate. A volte si dimentica che stando in pista in qualche modo si sta su un palcoscenico, ci si esibisce... e si può godere nel condividere tutte le sensazioni che il tango dà...
Raccontaci i tuoi esordi nel mondo del tango e la tua esperienza professionale nel mondo del teatro.
Ho sempre avuto una gamba nel teatro e una nel tango. Mi sono avvicinata per la prima volta al tango nel teatro nel 1991 a Pontremoli, in un teatro all’italiana del 1740. C’erano due attori che ballavano tango ogni sera sul palco sulle musiche di Piazzolla: già la teatralità del tango era evidente. Dopo sono andata a studiare il tango a Parigi e Buenos Aires, nel 1996 ho fondato una scuola di tango a Oslo e organizzato milonghe. Ma è come attrice che mi sono trasferita in Italia, partecipando al Festival di Spoleto. La cornice teatrale per me è sempre stata importante. Durante le serate di tango che organizzavo c’erano delle sorprese, e quando era possibile anche la musica dal vivo. Ho fatto anche workshop per attori in Svizzera con base movimenti di tango, importanti per la presenza scenica, per il dialogo tra persone, per lavorare con lo spazio, la luce, la musica…dopo sei un attore più ricettivo all’ascolto. Lì lavori con persone già creative ma che spesso sono troppo preoccupate di loro stesse, e spesso perdono questa apertura. Il tango ci insegna che tutto il corpo è incluso nel dialogo.
Quando ero piccolissima ho anche fatto danza classica, che è stata importante per imparare a muovermi con la musica. Sono cresciuta con la musica classica e l’Opera: a 5 anni i miei genitori mi hanno portata a vedere l’Opera italiana (ad Oslo). Quindi posso affermare che è “colpa” dell’Italia se mi sono innamorata del tango e del teatro, e... dell’Italia!
Ho fatto un master per attori europei di tre anni con un bravissimo pedagogo che ha capito la mia teatralità nel tango. Da lui ho imparato recitando i dialoghi di Platone. La difficoltà nel recitarli sta nel fatto che sono così lunghi che non puoi ricordarli, se dimentichi una frase sei perduto, portano avanti due posizioni filosofiche molto precise, perciò bisogna imparare a PENSARE in scena, non riprodurre, recitare nell’accezione inglese to play, è un gioco per arrivare a un punto. Se conosci bene il gioco puoi anche improvvisare, perché sai la strada. E da lì puoi anche rischiare di andare oltre... Erano impostazioni così precise che dovevamo imparare tutte e due le posizioni (entrambi gli interlocutori del dialogo), per poi scambiarsele e prendere la parte dell’altro. Ciò è emblematico per come vedere il tango: se tutti e due nella coppia sanno sia guidare che seguire possiamo aiutarci per far succedere il tango, non ha sempre importanza chi guida e chi segue. In Italia invece il tango a volte o è solo queer o è classico. Il tango può essere METÀ e METÀ. In Europa del nord è più aperto, più visibile che i ruoli sono un po’ più interscambiabili.
I prossimi appuntamenti della “milonga disperata”?
Il montaggio per il CombatTango è impegnativo, ci vuole un giorno per togliere le quinte e montaggio luci. Inoltre penso che il Combact sia come un’ape che sta su un fiore e lo impollina: se stesse sempre su quel fiore molti altri fiori non potrebbero essere fecondati. Quindi forse è tempo che questo progetto si alzi e vada in giro. Del resto, quando i progetti sono vivi si muovono da soli. Ad ogni modo, la prossima data del CombatTango sarà il 20 giugno, per festeggiare l'entrata del solstizio d'estate
Claudia Galati