Il Trio de la Sombra "è un progetto musicale che nasce dal prologo scritto da J. L. Borges al suo Elogio de la sombra, in cui descrive la sua estetica, affermando che un'estetica non ce l'ha. È così anche per questo gruppo. Le provenienze molto eterogenee dei componenti mi portano ad arrangiare e comporre sfiorando la milonga, il candombe, il jazz, la classica-contemporanea, il rock e io stesso non so cos'altro. Si raggiunge di volta in volta un 'luogo musicale' diverso al quale non teniamo così tanto a dare un nome, ma dove sicuramente ritroviamo delle persone che ballano…"
Sono parole di Vincenzo De Filippo, compositore e arrangiatore delle musiche del Trio de la Sombra, che descrivono l'essenza del giovane e talentuoso gruppo della realtà romana di tango, caratterizzato da un suono alternativo e raffinato, ispirato dal jazz. Il loro ultimo cd, “TradiNuevo” del 2010, perla del panorama musicale tanguero contemporaneo, già dal titolo riassume la fusione che il gruppo opera tra i vari stili del tango al fine di creare uno scenario inedito. Noi di Tango In Roma abbiamo incontrato il gruppo al Querer il 20 gennaio scorso in occasione del loro concerto, e abbiamo posto a De Filippo qualche domanda di approfondimento.
Presentatevi e raccontateci la vostra storia.
La formazione base del Trio de la Sombra è composta da Pasquale Lancuba (bandoneón, fisarmonica e bayan, che è praticamente una fisarmonica a bottoni), io, Vincenzo De Filippo (pianoforte, flicorno, e venendo dalla composizione curo soprattutto gli arrangiamenti) e Mario Rahi (violino), che è libanese. Il gruppo nasce in realtà come duo nel 2002, quando ci siamo conosciuti io e il fisarmonicista, al Conservatorio di S. Cecilia, in modo rocambolesco: siamo tutti e due della provincia di Salerno, avevamo affittato la stessa aula per studiare e quindi ci siamo trovati tipo in una situazione da teatro. Allora abbiamo deciso di suonare insieme. Lui con la fisarmonica ha iniziato a suonare "Tico Tico", una canzone brasiliana. Solo che Pasquale
all'epoca suonava uno stile di musica che si chiama varieté, in cui il pezzo più lento è velocissimo, per cui prima che io riuscissi a mettere le mani sul pianoforte… fammi prima capire che stai facendo! Suonava tutto velocissimo. Poi abbiamo suonato Piazzolla, e da lì ho detto: io ballo il tango da
qualche anno, ti interesserebbe mettere su qualcosa di tango, ma di tango non tradizionale, una nostra rivisitazione del tango? Lui ha risposto: "Beh, certo, suono la fisarmonica, è ovvio che mi piaccia il tango!" Da lì abbiamo iniziato a sperimentare, a giocare; poi pian piano negli anni collaborando con vari musicisti abbiamo cercato di imparare la tradizione senza però mai suonarla dal vivo, ma solo a casa: prendiamo i dischi e suoniamo gli arrangiamenti di Pugliese, Julian Plaza… Mario Rahi è un nuovo acquisto del gruppo, ci siamo conosciuti due anni fa in ambienti classici, e siccome abbiamo collaborato per degli spettacoli di musica araba -essendo lui libanese ci ha insegnato un po' di musica araba- abbiamo cercato di coinvolgerlo nel tango, quindi l'abbiamo portato in questo mondo. All'inizio suonava un tango un po' "arabo", poi pian piano… Con Mario è nato questo sodalizio da due anni, venendo lui da questa musica etnica e dalla musica classica, portandolo in questo mondo del tangojazz in cui si è trovato subito molto bene perché la musica araba è basata sul'improvvisazione. Siccome il nostro tango non è interamente scritto, per lo meno nei tanghi originali, noi lasciamo un' "apertura", come si dice in gergo, cioè uno spazio all'improvvisazione nelle esecuzioni di tango nuevo. Questo spazio fa sì che, pur rimanendo nel ballabile, il nostro non è certamente un tango di tipo tradizionale. Lo ripeto, quello tradizionale lo studiamo ma il nostro scopo non è far finta di essere argentini, è imparare e poi rimescolare per dare una chiave un po' più "mediterranea". Stiamo cercando di fare appunto questa operazione, ma non è una cosa facile perché è ovvio che la ballabilità passa attraverso un certo tipo di accento, che se cambi crea una difficoltà in più a chi balla. È la sfida nel nostro piccolo, un gioco per cercare di mantenere quella strada senza seguirla pedissequamente. Dal 2002 ad oggi abbiamo collaborato con vari musicisti, e sono 8-9 anni che suoniamo tango una media di 2-3 volte a settimana, quindi suoniamo tantissimo tango. La formazione del gruppo ha avuto vari passaggi: all'inizio suonavamo molto con un percussionista (Angelo Di Veroli, n.d.r.), poi abbiamo deciso di imbarcarci in un progetto che comunque prevedesse un ritmo più respirato e meno scandito, per evitare anche una forte assonanza con i gruppi di tango nuevo che fanno fondamentalmente ritmo per hip hop ed elettronica, noi siamo completamente acustici. Non che rifiutiamo l'elettronica, però abbiamo scelto un'altra strada: la strada acustica, del jazz fondamentalmente.
A proposito del jazz, ci spieghi cos'ha in comune con il tango?
Sicuramente l'improvvisazione. Nel tango si improvvisa nel ballo, e nel jazz si improvvisa nell'apertura del brano. Cioè si presenta un tema, una melodia di 8, 16, 24, 32 battute, non è importante quanto è lunga, è importante che sia una sorta di cerchio che ogni volta si chiude, che ogni volta ti dà la possibilità di sperimentare nuovi percorsi melodici e ritmici, segnali di accento e di stacco, quindi fondamentalmente c'è un ramo comune che è quello dell'improvvisazione. Questo fa sì che le due cose siano assolutamente avvicinabili. Poi, se pensiamo al jazz legato alla definizione di swing è ovvio che
non c'entra niente con il tango come ritmica, perché il tango è il contrario dello swing: quest'ultimo è tutto in levare, cioè in sospensione, è rotondo e leggero; il tango invece è piantato per terra, ha dei ritmi terrestri. Noi diciamo "tango-jazz" perché è un jazz europeo, non c'entra nulla Louis Armstrong.
Javier Girotto viene dal jazz e suona anche tango: vi siete ispirati a lui?
Io ho quasi tutti i dischi degli Aires Tango, Girotto tra l'altro insegna nel conservatorio dove io studio… C'è sicuramente una matrice comune che seguiamo, ma lui ha preso un'altra strada: è più jazz da concerto, ha abbandonato la ballabilità, non si pone questo problema. La nostra piccola innovazione è quella di rimanere ballabili ma cambiando l'elastico del tango. Abbiamo collaborato con Sandra Rumolino, una cantante molto esperta, una delle migliori cantanti di tango del panorama mondiale secondo me, e abbiamo visto che la stessa Sandra, argentina vera, che ha delle radici ben piantate, sta cercando "nuovi rami e nuove foglie". Pasquale non da molto è passato al bandoneón. La fisarmonica è più europea, ma il gioco è proprio questo: non basta avere un bandoneón in mano per capire la ritmica del tango, impari a suonarlo e non è detto che suoni tango, ci puoi anche suonare la musica classica, quello che conta è come fai RESPIRARE lo strumento, come ACCENTI con lo strumento. Puoi ottenere la stessa
cosa o una cosa molto simile anche con la fisarmonica, è come senti il ritmo che fa sì che stai suonando tango. Hugo Diaz suona il tango con l'armonica, ma nei suoi dischi non senti la mancanza del bandoneón perché è talmente tango quello che fa con l'armonica che va bene.
Héctor Ulyses Passarella ha affermato che il tango non può sopravvivere senza il nuovo e la sperimentazione…
Sono assolutamente d'accordo. Io credo che siccome il tango, come tanti altri generi di musica cosiddetta "popolare" - cioè nata dal popolo, dalle persone comuni e non a tavolino - ha una matrice infinita, nel senso che è continuamente rinnovabile perché continuamente si rinnova la situazione sociale dove viene suonato e ballato. È ovvio che oggi non ci sono più gli emigranti che si accoltellano nelle milonghe, o quasi tutti uomini che ballano tra di loro e si contendono una sola donna, per cui i testi cambiano. È chiaro che non c'è più il melodramma epico dei coltelli di cui parla Borges in tante poesie legate al tango, oggi c'è l'avvocato che viene in giacca e cravatta e balla con la signora di 40 anni con la calza a rete, c'è un mondo, ed è pazzesco ballare -io stesso ballo- con una signora di 60 anni con cui in teoria non avrei nulla da condividere, eppure stai lì, ci balli, sorridi… La cosa più bella di suonare in milonga è questa: prendere il respiro delle persone e portarlo al TUO ritmo, è una cosa che non ha eguali.
Quali sono i luoghi dove suonate di più?
Abbiamo amici da cui suoniamo spesso da molti anni: qui al Querer, dove sono sei anni che suoniamo 1-2 giovedì al mese, e anche al festival "Roma Tango Meeting" da lui organizzato, Mitreo, collaboriamo anche con Patrizia Messina. Suoniamo molto anche fuori Roma, facendo però cose meno legate alla milonga e più a eventi come festival, musiche per teatro legate anche al tango, portando anche in scena spettacoli con ballerini di tango.
La nostra vocazione è uscire fuori con la nostra identità, perché suonare tango nelle milonghe fuori Roma è un po' più difficile, perché normalmente i tangueri vogliono la musica tradizionale, quindi chi ci conosce sa che faremo tanghi ballabili, però quando sentono "tango-jazz" dicono no, "noi balliamo il tango tradizionale." Poi andiamo, e se ci sentono una volta di solito ci richiamano! Per concludere, volevo solo dirvi grazie per il lavoro che fate per il tango e per i gruppi di tango.
Claudia Galati