Il contrasto fra la tragedia antica ma moderna con il più moderno dei “classici” compositori del tango: così può essere definita l’originale operazione della compagnia Work Art Society che dal 10 al 13 maggio scorsi ha proposto la propria versione dell’Antigone di Sofocle al Teatro Tordinona “condita” con il tango di Piazzolla. Creonte, re di Tebe, non accetta che Antigone, frutto dell’incestuoso matrimonio di Edipo con Giocasta, si ribelli alle sue leggi e dia sepoltura al corpo dello sfortunato fratello Polinice, colpevole di tradimento e giudicato nemico della patria. A nulla servono i tentativi del figlio Emone, promesso sposo di Antigone, di dissuadere il re dall’infliggere il carcere alla fanciulla:
“Lo Stato non appartiene a un uomo solo”, afferma il ragazzo a cui non sfugge l’ingiustizia del padre; “Mai finché vivrò prevarrà una donna”, sentenzia Creonte dimostrando come si tratti più di una questione di potere e supremazia che di principi, dato che nessuno potrebbe rimproverare a una sorella il sacrosanto diritto di seppellire il proprio fratello, per quanto colpevole possa essere. “In questo caso l’uomo saresti tu, se restassi impunita”, le dice il sovrano. Antigone, mossa dalla pietà e convinta della correttezza delle sue azioni non si sottomette e si toglie la vita in cella. Disperato, Emone commette lo stesso gesto proprio davanti agli occhi del padre-despota, e la madre fa lo stesso. Solo ora, rimasto solo, Creonte capisce l’errore compiuto: troppo tardi. Come in tutte le tragedie greche è il coro, che in questo caso personifica i cittadini di Tebe, a commentare le vicende, a tirare le fila della storia, a dare la morale: “Questa è la sorte dei figli di Edipo e Giocasta per aver avuto pena, pietà, devozione”, “Saggio è l’uomo che caduto in un errore rimedia, non si ostina”. Il mito di Antigone, eroina femminista ante litteram, in questa rappresentazione è ambientato in una milonga, in cui le vicende tragiche sono state accompagnate dai toni drammatici delle musiche piazzolliane scelte e impreziosite dalle performance dei due ballerini di tango Orlando Farias ed Angeles Chanaha.
Abbiamo rivolto qualche domanda al regista Luciano Bottaro per capire come ha coniugato una tragedia antica con il tango.
Come sei entrato in contatto con il tango?
Mio padre da piccolo avrebbe voluto che imparassi a ballare il tango, ma per me il tango è bello da studiare, a livello psicologico, non saperlo ballare ma avere il piacere di guardarlo ballare.
Quando nasce l’idea di inserire il tango in un tuo spettacolo?
L’idea è nata nel 2003, quando insegnavo recitazione all’Istituto Nazionale del Dramma Antico presso l’Università Pontificia di Siracusa. All’inizio pensavo solo alla musica del tango, ma dal 2007 è andata maturando l’idea di inserire nello spettacolo anche dei ballerini. E proprio in questi giorni (maggio 2012, n.d.r.) qui a Roma erano di passaggio Orlando Farias ed Angeles Chanaha: il tocco che ci mancava!
Parlaci del metodo della tua compagnia.
La cosa bella di questo gruppo è che pur mantenendo la stessa struttura i protagonisti si scambiano i ruoli tra loro ad ogni replica. A volte faccio io stesso Creonte! È come una palestra: fra uno spettacolo e l’altro basta sapere la parte e gli attori vengono a recitare senza fare le prove.
Un classico moderno…così come moderna è la tua versione tanguera dell’opera…
Il progetto è nella definizione stessa della modernità: è assolutamente moderno tutto quello che ha dignità di diventare classico. Se un mobile è fatto bene è moderno, e diventa un classico.
Claudia Galati