Il primo bimestre del 2012 ha offerto due spettacoli teatrali di tango: “Tango Malambo” al Teatro Greco (17 gennaio) e “Momenti di Tango” al Teatro Italia (2-5 febbraio, i giorni della prima ondata di neve a Roma per capirci).
Senza nulla togliere alla bravura artistica e professionale dei ballerini che vi hanno preso parte, che non mettiamo in alcun modo in discussione, vorremmo sottolineare la spiacevole tendenza in atto che ci è sembrato di percepire: gli spettacoli di tango per il teatro si riducono a un susseguirsi di coreografie senza una soluzione di continuità, senza uno scopo preciso se non quello di “stupire” e “ammaliare” il pubblico generico del teatro con le acrobazie del tango escenario, piuttosto che rivolgersi al pubblico tanguero ormai assuefatto a simili esibizioni. Ne risulta dunque un’omologazione tra tutti gli spettacoli teatrali di tango, anche a livello musicale: non solo vengono presentati sempre gli stessi compositori - l’abusatissimo Piazzolla e Pugliese sulla strada dell’inflazione -, ma anche gli stessi brani degli stessi autori! Il tango da solo non basta, perché non stiamo parlando di un’esibizione in milonga ma di TEATRO,
che esige contenuti, l’utilizzo di tutti i suoi mezzi e di una narrazione, insomma un filo conduttore. Ci vorrebbe una maggiore attenzione per la messinscena stessa, proposte originali e creative lontane dai soliti, comodi cliché in cui si finisce sempre per ricadere.
Tango Malambo di Marcela Szurkalo, presentato nel corso del festival “Danze del mondo”, sulla carta si proponeva come “l’affascinante incontro con l’Anima di un popolo attraverso una storia di danza, musica, canto e pittura. Uno spettacolo interdisciplinare di tango e folklore argentino.” Ebbene, se una storia è stata narrata a noi è sfuggita! Sì, c’erano tutti gli elementi sopra elencati -la musica curata dal vivo dal Buenos Aires Café Quintet; la pittura di Fernando Cabrera su un telo fissato a un lato del palco, su cui dipingeva assecondando l’ispirazione che la musica gli suggeriva; la danza di Marcela e Pablo Moyano; il canto di Marcela stessa piuttosto convincente tra l’altro-, ma l’unico trait d’union della piéce era unicamente il susseguirsi di coreografie di tango. Il famigerato Malambo, per dirla con le parole dell’autrice, “è una delle danze più antiche del nostro folklore, è vibrante, agile, elegante ed è propria del gaucho. In questa danza l’uomo ha la possibilità di dimostrare tutta la sua destrezza, soprattutto attraverso il movimento delle gambe ma anche attraverso l’espressività del corpo in generale e dello sguardo provocatore, audace, di sfida”. Il Malambo consisteva forse nei momenti in cui Marcela e il pittore interagivano tra loro con movimenti di danza? Era racchiuso in questo il tanto atteso “folklore argentino”? O forse nel surreale e un po’ kitch siparietto in cui Fernando balla con una sorta di donna-manichino dalle proporzioni esagerate e Marcela, massaia disperata in parrucca nera e ciabatte, lo insegue con il mattarello in mano per punire il fedifrago, salvo poi finire con un tanghetto riparatore?
Stessa coppia di protagonisti (Marcela e Pablo, più Roberta Beccarini) ma intenti meno ambiziosi per Momenti di Tango: il titolo non poteva essere più appropriato, dato che si è trattato letteralmente di “momenti di tango”, niente più. Non una battuta, un dialogo o monologo in tutto lo spettacolo, solo 10 ballerini in scena per continue coreografie, di gruppo o di coppia. La coppia Szurkalo- Moyano ha presentato le stesse identiche coreografie dello spettacolo sopra menzionato; per il resto, ballerini di danza classica prestati al tango (e infatti a un certo punto le donne hanno sostituito i tacchi con le scarpette da ritmica) e tanti luoghi comuni, tra cui la scena del duello tra due uomini che si contendono la stessa donna e che chiamano a raccolta i propri “compari” per fronteggiare gli avversari: molto “americani contro portoricani” stile West Side Story. Degni di nota la trovata di ballare un tango elettronico a due sopra una panca e l’utilizzo delle luci, in particolar modo in due scene: quella dei tre uomini che ballavano il cosiddetto “tango greco” unicamente alla luce di tante abat-jours comparse lungo il perimetro del palcoscenico, creando un effetto molto suggestivo e intimo, e la scena della notte romantica tramite la calata dal “cielo” di tante lampadine a mo’ di stelle sopra la coppia protagonista (che ballava, neanche a dirlo, un Pugliese).
Claudia Galati