Beatrice Cenci Opera drammatica

BEATRICE CENCI – Opera drammatica

Violenza (in tutte le sue declinazioni: sulle donne, domestica, fisica, verbale) e abbrutimento; soprusi (da parte degli affetti più vicini, e del potere costituito sui più deboli); richieste di aiuto inascoltate; senso di impotenza di fronte alla manifesta ingiustizia; bisogno di emancipazione. Questi i temi delineati in Beatrice Cenci – Opera drammatica, spettacolo musicale che torna in scena al Teatro Sala Umberto di Roma dall’11 al 13 Settembre 2024 e poi in tour nei teatri italiani.

La sceneggiatura di questo musical in due atti su libretto originale di Simone Martino (anche compositore e regista) e Giuseppe Cartellà si basa sulla storia vera di Beatrice Cenci (Zoe Nochi), appartenente a una delle famiglie più potenti della Roma papale vissuta nella seconda metà del 1500, resasi suo malgrado protagonista di un sanguinario dramma familiare frutto di abusi e sopraffazione da parte del padre-padrone.

La pièce si sviluppa per il tramite di Claudia “la donna moderna” (Ilaria Deangelis), che giace solitaria come in uno stato di dormiveglia su un letto collocato sulla sinistra della scena, cui appare il fantasma di Beatrice che le “affida” le sue memorie trascritte su un diario e che rivivono attraverso la sua lettura, in una messa in scena scarna e scura in cui si avverte tutto il peso e la tensione degli avvenimenti, a partire dal momento in cui la protagonista, dopo qualche anno trascorso in convento, all’età di 15 anni torna a casa in seguito alla morte della madre.

L’iniziale entusiasmo di ritrovare il fratello Giacomo (Antonio Melissa, anche aiuto regista) – uno dei rari momenti di tenerezza e innocenza – si spegne non appena compare il padre Francesco (Giuseppe Cartellà), uomo dissoluto, indebitato e violento ma mai condannato per alcun reato in virtù del potere dato dalle sue origini nobili. Il capofamiglia – che faceva vivere i familiari in uno stato di indigenza ed esercitava pubblicamente continue aggressioni verso la servitù, i figli e la seconda moglie, la vedova Lucrezia Petroni Velli (Stefania Fratepietro) – rivolge fin da subito le sue attenzioni malate verso la bella e giovane figlia, per la quale inizia una lenta e penosa agonia: “La notte ormai ha preso il mio cuore.”

Vana ogni missiva di denuncia inviata al Papa per farsi aiutare: l’aguzzino decide di segregare le due donne presso la Rocca di Petrella Salto (Rieti), dove la ragazza sfrutta l’amore del servo Olimpo Calvetti (Giorgio Adamo) per tentare l’estremo gesto, ultima ancora cui aggrapparsi per liberarsi dal giogo paterno. Una notte, per mano del sottoposto e di Giacomo, Francesco viene percosso a morte e poi gettato da un balcone, cercando in tal modo di far passare l’omicidio per morte accidentale.

Le indagini condotte dall’ispettore Bargello (Danilo Ramon Giannini) al soldo del Giudice (Maurizio Semeraro), e soprattutto le torture per far confessare gli indiziati, portano alla scoperta della reale dinamica dei fatti e di tutti i congiuranti coinvolti: l’intera famiglia Cenci e Olimpo vengono processati sommariamente e giustiziati atrocemente nella piazza di Castel Sant’Angelo a Roma, poiché Papa Clemente VIII voleva infliggere una punizione esemplare “a tutti coloro che cercano di farsi giustizia da soli, trasformandosi da vittime a carnefici” e allo stesso tempo vendicarsi della odiata famiglia e impossessarsi dei suoi beni.

Una storia cupa ambientata in tempi cruenti e brutali, a corto di giustizia e diritti. In questo contesto, molte saranno state le vicende analoghe a quella di Beatrice; eppure, la sua è passata alla cronaca impressionando talmente tanto l’immaginario collettivo di coetanei, scrittori e artisti di epoche successive da arrivare a noi, senza perdere la propria potenza evocativa. Come si spiega?

La forza di questa figura – giovane, bella, forte – risiede principalmente nel suo essere vittima della sopraffazione e della violenza (fisica e psicologica) dei potenti, siano essi il proprio padre o le istituzioni (all’epoca, lo Stato Pontificio), nel suo essere costretta al parricidio come unica via percorribile dinnanzi all’immobilismo e al silenzio colpevole delle autorità, sorde alle richieste di aiuto, nel disperato tentativo di riconquistare la propria libertà. Ed è proprio per questo che è stata riconosciuta, fin da subito, come una vera e propria martire ed eroina dai concittadini romani – tant’è che parte della notorietà di quello che può apparire come uno dei tanti fatti di cronaca nera è dovuta alla sollevazione popolare seguita alla crudele e inaspettata condanna della giovane alla pena capitale.

Una vendetta mascherata da giustizia, sproporzionata e iniqua, cieca all’occorrenza e severa a piacimento. La correttezza e il senso di umanità che soggiacciono agli interessi – e che guarda caso colpiscono non il pluri-indagato e reo Francesco, bensì i discendenti vittime di quegli stessi abusi che l’empio aveva perpetrato anche verso lo Stato/Legge: il colpevole, impunito; le vittime, violentate due volte: dal contesto intimo/familiare e da quello legale/pubblico.

Dal punto di vista scenico, il frequente uso del controluce e della penombra, la scena raccolta e mobile, l’atmosfera soffocante, le voci potenti ed appassionate dei cantanti, i testi e le musiche calzanti e coinvolgenti guidano il pubblico lungo tutta la narrazione della discesa agli inferi dei protagonisti, amalgamando sapientemente i momenti più lieti e “spensierati” con quelli più angoscianti e drammatici.

Uno spettacolo commovente senza scadere nella retorica, sobrio e misurato, emotivamente difficile da metabolizzare (gli stessi attori appaiono provati dalla performance).

“Non dimenticare”, è il monito di Beatrice a Claudia. Un monito diretto a lei, donna vittima di violenza, e per esteso a tutti quanti noi, a ribellarci ai soprusi senza subirli e a trovare la forza e il coraggio per reagire. Claudia lo fa, e decide di alzarsi e andarsene. Ma soprattutto, a non restare in silenzio di fronte all’ingiustizia.

Claudia Galati