West Side Story

WEST SIDE STORY

Un quartiere di New York conteso tra due gang di diversa etnia, che lottano per ottenerne l’egemonia.

Il sogno dell’integrazione, con tutte le possibilità che, sulla carta, il nuovo paese ospitante ha da offrire agli immigrati.

Un amore intenso e contrastato, la cui forza si ritiene capace di superare tutti gli ostacoli.

Non è la fotografia dai risvolti romantici di una storia di cronaca dei giorni nostri, ma quel capolavoro di West Side Story, in scena al Teatro Sistina dal 7 dicembre 2024 al 12 gennaio 2025, diretto e adattato per il pubblico italiano da Massimo Romeo Piparo, in cartellone successivamente anche a Firenze e Bologna e in tour estivo nelle arene.

E non a caso l’opera è il titolo di punta della stagione del Sistina (“abbiamo l’ambizione di essere la ‘Scala’ di Roma”, per via del debutto proprio il 7 dicembre. E infatti il pubblico ha risposto con un tutto esaurito!, ndr): con le sue 30 comparse, 18 musicisti, l’estrema attualità delle tematiche affrontate, la grandiosità della messa in scena vibrante e camaleontica dalla tematizzazione perfetta, l’altissima qualità di interpreti, scenografie e costumi, la celeberrima storia d’amore tra Tony (Luca Gaudiano) e Maria (Natalia Scarpolini) ispirata al “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare incastonata nella colonna sonora di Leonard Bernstein, lo spettacolo ha tutte le caratteristiche per coinvolgere gli spettatori di ogni età, anche a quasi 70 anni dalla sua creazione.

Prodotto da PeepArrow Entertainment in collaborazione con Il Sistina, e con la partnership di Fineco Bank – il cui sostegno alle attività culturali e all’arte ha come obiettivo quello di “promuovere il benessere sociale” – , lo spettacolo è tratto dall’omonimo musical ideato nel 1957 da Arthur Laurents (libretto), Leonard Bernstein (musiche), Stephen Sondheim (liriche) e Jerome Robbins (direttore e coreografo), ed è famosa la versione cinematografica del 1961 che valse alla pellicola 10 premi Oscar e che consacrò definitivamente il successo ottenuto dal musical nei teatri di tutto il mondo.

I Jets (americani) – capitanati da Riff (Roberto Torri) e gli Sharks (portoricani) – guidati da Bernardo (Antonio Catalano) trovano ogni pretesto per affrontarsi: spinti dall’avversione e dall’intolleranza verso lo straniero “usurpatore” di diritti, lavoro e territorio i primi, la convivenza pacifica risulta impossibile a causa della rigidità e dell’ottusità di ambo le parti.

L’odio chiama odio, e la violenza altra violenza: questa la grande lezione insegnata dal Bardo e raccolta da West Side Story, riproposta in maniera attualizzata. Sogni e speranze si infrangono contro la dura realtà; e con tali premesse, l’epilogo tragico è dietro l’angolo.

Lo spettatore assiste rapito alle memorabili risse danzanti delle due fazioni, nel tripudio delle atmosfere e dei colori sgargianti degli abiti anni ’50 (soprattutto femminili) proposti da Cecilia Betona, ritrovandosi nella cruciale scena – assai complessa dal punto di vista registico e coreografico – del ballo dove Tony e Maria si incontrano, esaltazione per gli occhi e per le orecchie: la transizione dal chiasso caotico all’attimo di intima poesia è pura perfezione artistica.

L’orchestra dal vivo; le scenografie di Teresa Caruso, con i cambi a vista funzionali ed efficaci; un ensemble di ballerini energici e infaticabili e le voci dei cantanti fanno il resto: su tutti, gli straordinari Luca Gaudiano e Natalia Scarpolini, l’ottimo Antonio Catalano e la strepitosa Rosita Denti (Anita, la fidanzata di Bernardo).

West Side Story è un ponte di collegamento tra grande melodramma e musical moderno. Come spiegato da Piparo durante la conferenza stampa del 5 dicembre, l’Opera nasce come genere popolare ma con il tempo è diventata sempre più d’élite. In Italia il divario tra i due generi è netto, rispetto ad altri paesi in cui convivono. In West Side Story i temi operistici si ritrovano nel cantato, mentre i dialoghi sono moderni (il recitativo viene sostituito dalla prosa).

“Nell’Opera cantano solo, non recitano e non ballano. Per rendere la storia credibile, abbiamo dovuto prendere performer ben preparati (l’80% già nel cast di Cats), più 18 musicisti che suonano dal vivo – no orchestra full-size, solo 18 elementi per motivi di spazio, ma si riesce a raggiungere lo stesso risultato anche con un organico più ridotto: del resto, West Side Story è nato per una formazione di 28 musicisti.”

“Per un regista che affronta questa storia è come un esame di Stato, un diploma che prende, anche perché è di un’attualità incredibile. La partitura musicale è un caposaldo sia della musica colta sia della musica popolare degli ultimi 60 anni. Il teatro d’Opera più che il musical ha affrontato West Side Story, ma la volontà del Sistina è di renderla un’opera per tutti”, ha proseguito Piparo.

Le altre novità di questa versione riguardano sia l’aspetto musicale sia quello coreografico della rappresentazione: il Direttore dell’orchestra, Maestro Emanuele Friello, ha sottolineato come, da un punto di vista artistico, sia difficile adattare il Musical ai giorni nostri (“Bernstein stesso alla prima registrazione in studio ebbe molte difficoltà”) poiché è un’opera di grande complessità. Si è deciso quindi di adottare un arrangiamento musicale aggiornato, senza toccare nulla dell’equilibrio musicale della partitura originale.

Le coreografie di Robins vengono spesso replicate pedissequamente nelle varie versioni: con Billy Mitchell, coreografo del West End londinese, ne è stata data una nuova ma fedele a quello stile e a quegli anni, un po’ aggiornata ai gusti di oggi (“deve piacere anche a un bambino di 12 anni, e alle famiglie di appassionati”).

La traduzione dei testi in italiano curata da Piparo, infine, ha presentato qualche difficoltà: “Ho cercato di non far perdere la musicalità delle canzoni inglesi, prevale la musica che è molto melodica, aspetto questo che con l’italiano va a braccetto.”

A tal proposito, abbiamo rivolto due domande a Piparo:

Come vede il cambiamento, l’evoluzione del musical in Italia.

“Il musical in Italia è il genere di spettacolo che raccoglie un maggior numero di spettatori rispetto allo spettacolo dal vivo: è secondo solo alla grande musica leggera, quindi vuol dire che è un genere di spettacolo che in Italia è molto amato. Certo, non siamo riusciti a creare una industria del musical come altri paesi Europei: purtroppo in Italia sono annunciati 36 titoli solo a Milano e sono spettacoli che stanno in scena un giorno o due e poi spariscono, quindi un po’ di confusione intorno al genere c’è. La gente però ormai tra social, internet e passaparola sa quello che va a vedere e sceglie per fortuna ancora le grandi produzioni dove va sicura senza prendere fregature. Poi è chiaro che ogni cosa fatta male nuoce anche a quelle fatte bene, quindi spettacoli belli chiamano spettacoli belli e spettacoli brutti allontanano: purtroppo in Italia non c’è un controllo, è un po’ un arrembaggio, si pensa che il musical sia la roba facile da fare perché tanto funziona e la gente ci va, ma la gente non è scema e lo spettatore ormai sa scegliere, quindi ci sarà una selezione.


Anche il fatto di tradurre le liriche in italiano, nonostante siano stranote, ha lo scopodi avvicinare il più possibile il pubblico italiano?

Per forza. L’Italia è un paese che con l’inglese non va proprio a braccetto; fosse per me, farei tutto in inglese. Però ho imparato che il fatto di non comprendere ciò che ascolta allontana buona parte del pubblico: quindi sì rimane la bellezza visiva, la bellezza sonora; però se non capisci di che sta parlando, la storia diventa un po’ ostica, soprattutto quando non sono storie straconosciute tipo Jesus Christ Superstar, che quello con i capelli lunghi vestito di bianco grosso modo tutti sanno chi è. Invece ci sono altri titoli dove la gente pensa di conoscere le canzoni ma poi quando chiedi loro di che parlano, non lo sanno.

L’amalgama di dramma, musiche e danza; le celebri melodie Maria, America, Tonight, Somewhere; i temi universali. La forza di quest’opera è giunta fino a noi, ed è destinata a non tramontare mai: come Tony, possiamo cantare anche noi:“I’ll never stop saying, Maria”.

Claudia Galati