TANGO BOHÈME

Tango Bohème
Tango Bohème

Sold out per il nuovo allestimento di Tango Bohème andato in scena il 31 marzo 2016 al Teatro Sala Umberto. Quattro coppie di ballerini – tra cui degli straordinari Francesca Del Buono e Giampiero Cantone -, musica dal vivo con l’orchestra Mas Tango e la voce della trascinante Cecilia Herrera.

I quadri sono più o meno quelli standard degli spettacoli teatrali di tango. Apre il classico scenario da bassofondo della Buenos Aires dei primi del ‘900 (fumo, gioco d’azzardo e prostitute), introdotto dalla voce narrante e regista Manfredi Gelmetti. A seguire, uomini che si contendono una donna a passi di tango e coltellate; corteggiamenti più o meno respinti (incluso quello queer, sottolineato con tanto di luci color fucsia); coppie di ballo (meritano una menzione a parte il duo Sabrina Garcia e Walter Venturini, oltre ai sopra citati Del Bono e Cantone) che si alternano sul palco e si riuniscono tutte insieme per coreografie di gruppo. Una trama semplice, mero pretesto alle performance di ballerini, musicisti e cantante.

La progressione temporale della storia del tango rimane un po’ vaga e decontestualizzata. La storia di “Alfonsina”, ad esempio, da cui è tratto l’omonimo tango cantato, viene introdotta dal personaggio narrante – presumibilmente un testimone del fatto – dando l’impressione di un episodio a sé stante, slegato dal contesto. Lo stesso dicasi quando entra in scena “Astor”, che racconta brevemente il suo primo, decisivo incontro con il bandoneón per volontà del padre.

La tanto decantata “sistematica opposizione ad ogni valore e costume del buon senso per ritrovare una forma di libertà”, quell’ “anarchia spirituale e materiale, dove l’Arte denuncia e supera le convenzioni imposte da una società emarginante, una prigione che avvilisce la fantasia, la volontà, l’immaginazione” cui lo spirito bohèmien si ispirava – e che dovrebbe essere il filo co-conduttore della piéce – non trova spazio se non solamente nell’epilogo, in cui viene raffigurato il pittore ribelle Antoine, lasciato dalla sua musa ispiratrice e modella Margot, che vive in un appartamento antico e di poche pretese. Quello stesso ambiente e quello stile di vita peculiari verranno rievocati nostalgicamente nel vals “La Bohème” (testo italiano), alla luce di un’epoca e di una giovinezza perdute, in contrapposizione alle trasformazioni imposte dalla società moderna.

La critica maggiore che si può muovere alla rappresentazione è la messinscena stessa, l’assenza di un piano luci adeguato, il cui risultato è stato un pubblico troppo spesso infastidito da luci effetto disco rivolte verso di lui. Problema di non poco conto in quanto, come insegnano gli addetti ai lavori, la luce è un elemento scenico importantissimo, essenziale, onnipresente, perciò bisogna capire che il disegno delle luci va pensato come parte integrante della messa in scena, non come elemento marginale.
Inoltre è risultata uno scivolone, agli occhi dei tangueri più attenti, una coreografia che, per usare un eufemismo, deve MOLTO ai Los Guardiola quanto ai passi, alle movenze e all’idea di fondo (addirittura viene utilizzato lo stesso arrangiamento dell’omologa performance).

Nel complesso lo spettacolo ideato dalla stessa Cecilia Herrera può dirsi abbastanza riuscito e godibile.
Claudia Galati