Il film-documentario di German Kral, prodotto da Wim Wenders e presentato al Toronto Film Festival 2015, come sottolineato dal regista, è soprattutto una storia d’amore. La storia dell’amore tra due dei più famosi ballerini della storia del tango, e la storia del loro incredibile amore per il tango.
In 85 minuti la pellicola ripercorre attraverso le voci dei protagonisti e le coreografie di due coppie di attori-ballerini (tra cui figura anche Pablo Verón) che li “interpretano“ da giovani, i 50 anni del sodalizio artistico tra i più fecondi e famosi della storia del tango: quello tra María Nieves Rego e Juan Carlos Copes, i primi a portare il tango fuori dalle milonghe di Buenos Aires e ad inventare il tango escenario. Un percorso costellato di successi ma al tempo stesso dolente, complici i drammi personali che hanno portato alla separazione professionale della storica coppia.
Le spettacolari coreografie e i materiali d’epoca (fotografie, filmati) integrano il racconto delle interviste dei protagonisti ormai ottantenni, rendendo il film toccante e intenso attraverso una fotografia ricercata e pulita e un’abile mescolanza di finzione e realtà.
È su María che Kral incentra il filo della narrazione.
Il percorso Nieves-Copes inizia circa 70 anni fa, fortuitamente, come tutte le epopee che si rispettino. Il loro primo incontro avviene negli anni ’40 al Club Estrella de Maldonado, dove María accompagnava la sorella a ballare ma osservava solo, 14 anni lei e 17 lui. “Lui era quello che noi chiamiamo carro, cioè non sapeva ballare.“ Al Club Atlanta, qualche anno dopo, il primo ballo insieme. María riassume quell’episodio nei consigli impartiti agli attori durante le prove: “Più abbracciati e meno passi. E più sguardi. Professionalmente ci allontanavamo per fare le coreografie, altrimenti ballavamo stretti.“ Juan dal canto suo ricorda di aver pensato, allora: “Ho incontrato il mio Stradivari“, ossia la partner perfetta con cui ballare. “Lei era leggera, io lento: lo ‘stile Copes’ nasce con il contributo di entrambi.“
María si era innamorata di lui, il ballo era una scusa (per sua stessa ammissione), era “l’allegria dei poveri“. Le importava la persona, non il ballo in sé. Presumibilmente è stato questo il filo conduttore della sua condotta in tutti gli anni a venire, il comportamento di chi ha tanto amato e di chi è stato tanto complice nonostante tutto.
Quando il tango viene estromesso dai club (che a Buenos Aires sono per lo più palestre o centri ricreativi) per far posto ai nuovi ritmi come la cumbia e il rock, Copes si ingegna insegnando nei capannoni industriali animato dalla convinzione che con il tango si potesse fare qualcosa di più che andare in milonga, che “si poteva fare qualcosa di mondiale come il jazz negli Usa.“ María lo descrive come un uomo di bell’aspetto, intelligente, tenace e profondamente amante del tango, mal celando l’ammirazione assoluta che nutre tutt’ora per lui. In quell’epoca c’erano tanti buoni ballerini di tango, ma hanno smesso perché si sono costruiti una famiglia e non avevano la “scintilla“ di Juan, un “ossessivo del tango“ che voleva aprire porte. Fu per questo che nel ’55 introdusse il tango a teatro. In quel debutto sul palcoscenico lei “apre per la prima volta gli occhi“: lui mostrava interesse anche per altre donne che non fossero lei. Non era l’unica per lui. “Lei era convinta che io le appartenessi, mentre era lei che apparteneva a me“, afferma candidamente (e cinicamente) Copes.
Ambiguità di fondo che non gli impedisce di sposare María a Las Vegas, dove si erano recati negli anni ’50 perché Juan voleva lavorare a Brodway per trasformare il tango in un fenomeno internazionale, sogno concretizzatosi nell’acclamato e “rivoluzionario“ show Tango Argentino.
La Nieves non voleva essere un’artista, voleva avere una famiglia. Invece tornati in Argentina lui sottintende, senza mai metterlo in chiaro verbalmente: “Il matrimonio a Las Vegas non vale negli altri paesi“, perciò continuavano ad essere “liberi.“ A dimostrazione di ciò, un giorno le dice che partirà in tournée con i suoi ballerini per due anni, senza di lei (perché non la reggeva più, in scena e nella vita privata). Nel frattempo lei potrebbe scegliere un altro uomo, ma Copes vuole tornare a ballare in coppia anziché con più partner: María sceglie il tango, riprendendo a ballare con lui con tanto di nuovo look (capelli corti come siamo abituati a vederla).
Lavoravano e guadagnavano molto. Lui frequentava i locali di moda e beveva parecchio, sempre più insofferente al rapporto con María, con cui litigava continuamente. Non si dicevano: “Così non funziona più“. Copes aveva molta rabbia, finché Myriam, più giovane di 20 anni, gli “salva la vita“. Juan e Myriam stanno insieme da 42 anni e hanno due figlie.
María rimane all’oscuro di tutto finché le dicono che lui aveva avuto un figlio con un’altra donna, subendo l’ulteriore umiliazione di essere considerata sterile. “Per 30 anni ci furono solo loro: il tango era intoccabile, ma avere una famiglia forse per loro era pericoloso“, ipotizza un attore. Copes non vuole lasciare il tango; María era ferita, ma si pone l’obiettivo di crescere come artista: “Ti dimostrerò che saprò schiacciarti in scena“, superandolo ma “non eliminandolo“. Ballando “con odio“. “Ci insultavamo ballando, ma nessuno se ne accorgeva.“ Gli attori, guardando le foto d’epoca, notano che ognuno guarda in un’altra diagonale, come se fossero assenti, non si guardano e non si parlano più, si vedevano solo in scena. Come hanno potuto sopportare una relazione tanto tormentata per tanti anni?, si chiedono. La risposta è che l’amore per il tango trascendeva i conflitti, valeva la pena continuare perché al tango avevano dedicato tutta la vita. “Se a un professionista muore la madre continua a ballare“; e così fanno loro.
È stata la separazione artistica, avvenuta molti anni dopo, quella che le ha fatto più male, il colpo di grazia dopo una tournée in Giappone nel ’97 in cui aveva parlato proprio dell’importanza della comunicazione della coppia nel tango. Comunicazione la cui mancanza sembra essere stata paradossalmente la tessera mancante della loro relazione. Non comunicavano il loro malessere reciproco. Non si guardavano più. Lui non le aveva detto di avere un altra donna e una figlia, né il vero motivo per cui aveva deciso di interrompere la loro unione professionale: a causa dell’ultimatum di Myriam. Lo scopriamo solo ora, attraverso le parole di quest’ultima.
“La nostra era una società. Disumano, crudele: a lui io non l’avrei mai fatto.“ E qui una trovata visiva dal forte impatto evocativo: María in tutte e tre le età fondamentali della sua carriera che danza con un uomo vestito totalmente di nero, illuminato in modo tale da risultare invisibile, per cui sembra ballare da sola. Una donna non del tutto disinnamorata ma ferita, delusa, che dispensa alcuni consigli sugli uomini: “Sono giunta alla conclusione che l’uomo bisogna usarlo e gettarlo, non vale la pena sprecare una lacrima di donna per un uomo.“ “Alle giovani, abbiate figli. Il tango può aspettare, altrimenti diventa troppo tardi come è successo a me.“
Oggi. Juan sente ancora la necessità di ballare ogni notte (“il fisico è cambiato ma il sentimento no“), “ho trasformato il tango e voglio morirci.“ La sua nuova partner è una delle figlie (che pensa che nessuna possa mai prendere il posto di María).
María confessa che il dolore l’ha fatta progredire come artista e come persona. “Non sono più giovane, ma in scena sono una leonessa.“ E infatti è ancora applauditissima in scena, capendo finalmente che non è per compassione ma perchè “valgo più di quanto credessi. Risorsi come l’araba fenice: con più vitalità e più allegria, ma sola. È brutto essere soli a 80 anni.“ Il suo sogno è ballare per altri 10 anni.
María e Juan si rincontrano dopo anni sul palco vuoto, soli, niente pubblico; si uniscono come per iniziare a ballare… per poi separarsi e andarsene via.
Simmetria perfetta del finale con l’incipit: con loro due, che ora si scopre essere in due macchine diverse e non nella stessa, e il dolly che si allontana sulla prospettiva dell’estesa Avenida 9 de Julio.
Claudia Galati