Lo confesso: l’idea di andare al concerto de El Cachivache Quinteto, organizzato da Kriminal Tango sabato 6 maggio 2017 presso lo Scup (Stazione Tuscolana), mi ha solleticato leggendo il titolo del loro sesto disco. Tango Punk, l’ultimo doppio cd in cui i tanghi classici sono arrangiati con influenze rock nel Volume 1 mentre nel Volume 2 i tanghi sono composti da loro stessi con sonorità più marcate e sperimentali mi ha incuriosito molto, e alla loro quarta esibizione a Roma ho deciso che era giunto il momento di incontrarli.
Sì, mi ero preventivamente documentata su di loro (come pensare di fare un’intervista, altrimenti?), ma non sapevo bene, fino in fondo, cosa aspettarmi.
Sapevo che il gruppo – fondato nel 2008 dai musicisti e compositori Vito Venturino (chitarrista e bassista rock approdato al tango) e Pablo Montanelli (pianista dalle influenze rock e blues cresciuto in una famiglia di tangueri), cui in seguito si sono aggiunti Negro de La Fuente al bandoneón, Pacha Mendes al contrabasso e Nico Franco al violino a formare il quintetto – ha rapidamente conquistato il panorama tanguero internazionale con il suo stile molto ritmico e con “contaminazioni” e riletture moderne delle melodie del Tango, approccio particolare ma pur sempre ballabile, unendo due generi che non potrebbero essere più distanti quali il punk e il tango (“gesto simbolico, estetico, artistico e generazionale.”)
Sapevo che il modo di presentarsi di questi ragazzi degli anni ’70, esteticamente parlando, incarna perfettamente l’anticonvenzionalità che sta alla base del loro modo di fare musica.
Sapevo che dal 2015 il gruppo organizza ogni sabato una delle più conosciute milonghe del circuito porteño, La Cachivachería a Oliverio Girondo, Villa Crespo, in cui si tengono lezioni, musica dal vivo (anche la loro) ed esibizioni, e che attualmente è temporaneamente “chiusa per tournée”, “uno spazio dove cresciamo, seguiamo i nostri sogni, ci esprimiamo liberamente a livello artistico e facciamo quello che ci piace fare, suonare”, come ha affermato Venturino.
Sapevo che adorano girare i videoclip dei propri brani, in cui infondono pari creatività (fatevi un giro in Rete e lo capirete da voi), video a tratti dark e non esenti da una vena di inquietudine latente, un po’ drammatici.
Eppure l’incontro ravvicinato mi ha sorpreso ugualmente.
Dimenticate tutti gli stereotipi legati ai gruppi o alle orchestre che suonano tango. I cinque ragazzi saliti sul palco dello Scup non potrebbero essere più lontani dai canoni standard dei musicisti tangueri: al posto del classico abbigliamento sobrio ed elegante, i Cachivache si presentano con le loro magliette e jeans, creste, tatuaggi e bracciali con le borchie in bella mostra. Ma non è il solo aspetto fisico a qualificarli: la maniera stessa di suonare, l’arrangiamento tutto è impostato di potenza e passione, è fuori dagli schemi, con tanto di strumenti colpiti con decisione, grida, corna da rockers. E poi quella chitarra elettrica, incredibilmente appropriata e a suo agio tra contrabbasso, violino e bandoneón da lasciar cadere qualsiasi eventuale pregiudizio sul suo utilizzo in una formazione di tango.
Il risultato? Un concerto energico, divertente, irresistibile. Dopo l’iniziale spiazzamento tutti sono scesi in pista a ballare, o per lo meno tutti quelli che non sono rimasti talmente galvanizzati dall’esibizione da rimanere impalati sotto il palco a vivere quello che poteva considerarsi, pur non essendolo completamente, un qualsiasi concerto di musica rock. Un’esibizione viva, vissuta in modo totale dai musicisti per primi e che non poteva non contagiare i presenti, che entusiasti a gran voce hanno continuato a chiedere “Otro!” anche dopo aver strappato il bis. Un’esperienza indimenticabile, indubbiamente.
Altrettanto sui generis è stata l’intervista che ci ha concesso Vito: alle 2,40 di mattina e in cinque minuti, che il gruppo era già in partenza per la tappa successiva. Lo abbiamo interpellato circa lo stile del quintetto, l’attuale situazione politica e culturale della Capital Federal e il futuro del tango.
Quando e come ti sei avvicinato al tango?
Ho iniziato suonando musica rock quando ero giovane. In un momento della mia vita, non so, avrò avuto più o meno 25 anni, il tango è arrivato. In Argentina c’è un detto: “Devi perdere qualcosa nella vita (una persona, un amore) per comprendere il tango.”
Dal rock al tango. Come vi è venuta l’idea di unire i due generi?
Suonare è un esercizio di sincerità. Non abbiamo altra scelta: il rock sta dentro di noi e il tango anche, si incontrano da soli, si uniscono.
Tango Punk è il titolo del vostro ultimo disco. Il tango lo considerate punk sia per l’idea che sta dietro ai vostri pezzi sia per il vostro modo di suonare?
Sì, credo per entrambe le cose. Il nostro tango è punk per il suono, perché mettiamo il rock nel tango, che ha una natura leggermente chiusa. Mettere il rock dentro il tango non è facile, non è facile che piaccia alla gente, non è facile che la gente lo ascolti, non è facile farlo; ed è punk anche per un nostro atteggiamento in base a cui ci sentiamo identificati con esso.
Vi siete ispirati a qualcuno in particolare?
A molta gente, a moltissime orchestre di tango. Ti posso nominare Troilo, D’Arienzo, Pugliese, Di Sarli, Piazzolla in seguito è stato importante, e idealmente molte rockband: Rolling Stones, Led Zeppelin… abbiamo grandi influenze per fortuna!
Pensi che il tango oggi possa essere “trattato” come una qualsiasi musica commerciale?
Musica commerciale, il tango? Non so, è difficile, è una buona domanda. Il tango è un piccolo mondo, non un mondo grande. Non so se qualcosa di quello che abbia a che fare con il tango possa essere molto commerciale. Credo che la cosa più commerciale che ci possa essere con il tango siano le orchestre, come, non voglio fare nomi, come quelle che imitano altre orchestre: ad esempio un’orchestra che imita D’Arienzo, un’altra che imita Pugliese… perché questo in qualche modo si vende bene, le milonghe vogliono questo. Non so se questo possa essere commerciale. Credo che quello che facciamo noi sia anti-commerciale… (ride)
Ponete molta attenzione ai vostri videoclip, che sono dei veri e propri micro-film. Ad esempio nel video di Madrugada, sulla parete che fa da sfondo ai ballerini appare la scritta “Patria o Macri”, che non è casuale: attraverso i vostri video in parte volete veicolare messaggi specifici?
Non so se è tanto il fatto di voler dare dei messaggi, piuttosto è che abbiamo la necessità di esprimerli. L’Argentina vive un momento politicamente molto difficile, molto duro. C’è un enorme regresso politico non solo in Argentina ma in tutta L’America Latina che produce in noi autentica angoscia. Quindi penso che se l’arte ha una funzione importante nelle nostre vite, questa sia cercare di esprimere questa angoscia. Noi cerchiamo di esprimerla, niente di più. Ovviamente questo messaggio identifica molte persone e molte altre no, tuttavia abbiamo bisogno di esprimere noi stessi.
Avete dichiarato: “Stiamo interpretando quello che crediamo possa essere il suono di Buenos Aires di oggi”: come percepite oggi il suono di Buenos Aires?
Il suono di Buenos Aires oggi ha molte cose. Da una parte non è la Buenos Aires degli anni ’40, non so come era però immagino che in passato fosse qualcosa di più innocente, tranquillo. Possiede tutte le influenze del rock che si è succeduto negli anni ’60, ’70, ’80, ’90. In Argentina abbiamo avuto le dittature militari, abbiamo avuto dodici anni di un governo molto sociale, come accaduto in tutta L’America Latina con Evo Morales, con Lula, con Cristina, e ora abbiamo un radiale da dove si è tornati nuovamente un po’ alle dinamiche politiche degli anni ’70. Quindi ci sono molti aspetti. Il suono di Buenos Aires di oggi è qualcosa di strano, una mescolanza di molte cose, di italiani, spagnoli, creoli, che vivono come possono. È un paese in via di sviluppo.
Un tango composto da voi è: Tango urgente. Può il tango essere urgente, oggi? In che modo?
Buenos Aires oggi è una città un po’ urgente perché ha ritmi di vita molto pressanti, anche se molte persone per fortuna mantengono un ritmo tranquillo. Come città, a Buenos Aires ci sono molte urgenze, sì.
Avete visitato 50 paesi durante le vostre tournée. Questo mese andrete in Thailandia per il suo primo festival di tango e perfino in Azerbaijan. Come viene visto e vissuto il tango in Asia?
In Asia la nostra esperienza è stata in Cina, a Shanghai, due anni fa in un festival. Anche lì c’è molto tango, molti giovani che lo ballano, è interessante. È stato molto bello portare la nostra musica e scoprire la gente e la cultura.
Avete una relazione molto forte con i Social media, un rapporto molto vivo, specialmente con Facebook, dove documentate ogni tappa del vostro tour…
Sì, cerchiamo di mantenere la gente connessa, ci piace usare i Social, naturalmente.
Il futuro del tango: il suo successo deriverà dalla contaminazione e dalla sperimentazione, o da altre strade?
È una buona domanda. Io credo che negli ultimi 20 anni il tango stia risorgendo, rivivendo, però credo che a Buenos Aires musicisti e ballerini si trovino in una fase di sperimentazione, di investigazione. Stanno accadendo molte cose, per fortuna. Ho fiducia che stiamo vivendo in qualche modo una nuova epoca d’oro, o almeno ho sentito che ci sono molti compositori e nuovi musicisti, le milonghe sono vive. E soprattutto, si è tornati a comporre. Ci sono molti musicisti che stanno componendo nuove opere che possono piacere o no, tuttavia sono pur sempre lavori nuovi di tango. Ho speranza.
Claudia Galati
Ringraziamo Sveva Rosati per l’aiuto nella traduzione.