Alla Sala Umberto di Roma fino al 17 novembre 2019 (oggi con doppia replica, pomeridiana e serale: dettagli) in scena Teatro Delusio, un’opera di Familie Flöz, spettacolo da non perdere per l’alta qualità artistica, tecnica ed emozionale.
Quando entriamo in sala la rappresentazione è già iniziata, la scena mostra il retropalco, si vede il retro del fondale, il retro delle ultime quinte, dove armeggiano tre tecnici con gelatine, proiettori, specchi, cavi elettrici, insomma tutto ciò che può servire all’allestimento di uno spettacolo. Ad un occhio attento e smaliziato non sfugge che i tre hanno un fisico atletico ed agile e un portamento da mimi e che le azioni che compiono sono vistosamente inutili, plateali e ripetitive. Vi anticipiamo questo non per spoilerarvi un originale inizio di azione scenica ma perché il primo invito del Teatro Delusio è quello di seguire con attenzione tutto quello che succede in scena, anche prima che si spengano le luci. I tecnici sono infatti tre bravissimi attori e mimi: Andres Angulo, Johannes Stubenvoll e Thomas van Ouwerkerk. I tre daranno vita ad un susseguirsi forsennato di situazioni comiche, poetiche, drammatiche, sognanti grazie all’ausilio di una trentina di maschere che riproducono altrettante teste dalle dimensioni spropositate, dai lineamenti volutamente grossolani dall’espressività e dalle caratteristiche accuratamente studiate.
In scena è un viavai continuo di personaggi del mondo teatrale bizzarri e pittoreschi, che interagiscono con i tecnici e con i quali instaurano relazioni e conflitti: il vecchio musicista miope che non trova il palco, il soprano di cui si innamora il tecnico più anziano, la giovane ballerina che intreccia una tenera amicizia con il più giovane e imbranato dei tre tecnici, il produttore, i musicisti e tanti altri personaggi: artisti in scena su un ipotetico palco oltre il fondo scenico (questa volta quello vero, quello della Sala Umberto) dove si svolge un ipotetico spettacolo al quale non assistiamo ma che ci viene raccontato dalla musica, dalla rumoristica, dalla mimica dei tre attori e dalla fantastica messa in scena di Michael Vogel. Una specie di “Rumori fuori scena” dove vediamo solo il dietro le quinte, dove i protagonisti sono i tecnici di palcoscenico, un punto di vista sempre precluso agli spettatori, sia nello spazio che nel tempo. Una ulteriore occasione per confrontare il tempo scenico con quello della messa in scena. Ma questa volta è dietro le quinte che avviene il vero spettacolo.
Il linguaggio scelto è quello immediato ed essenziale nel tipico stile Flöz, il linguaggio del corpo che si affida solo all’ausilio di maschere dai volti archetipici – rese vive ed estremamente espressive – e dei tempi comici che gli attori padroneggiano con disinvoltura, mostrando con una varietà di atmosfere e registri la solitudine esistenziale e le aspirazioni personali che assumono valenza universale: uno spettacolo che nutre l’immaginazione.
Carlo D’Andreis