Una piccola sala allestita con una suggestiva penombra e un velo trasparente a separare in due il palco; lettere sparse in terra, candele su altarino e una sedia. Di sottofondo, musica di tango da una radio che improvvisamente annuncia la morte di Carlos Gardel, il 24 giugno 1935 a Medellín (Colombia) in un incidente aereo. È così che inizia “Carlos, l’ultima volta”, andato in scena dal 20 al 23 febbraio 2020 al Teatro Spazio 18B di Roma, spettacolo di Emiliano Metalli e Mauro Toscanelli (rispettivamente autore e regista, e co-regista ed attore protagonista nel ruolo del paroliere Alfredo Le Pera) con Orazio Schifone (nel ruolo di Juan) e Masaria Colucci (voce di Berthe, la madre di Gardel). Una produzione de La Compagnia dei Masnadieri, con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo.
La pièce prende a pretesto la figura mitica del cantor de tango Carlos Gardel per parlare di amore, finzione, apparenza, ipocrisia affrontati da un punto di vista senza dubbio originale e fantasioso, che parte da questa idea: immaginiamo che Alfredo fosse segretamente innamorato del nostro Carlos, che ne fosse l’amante, e che Gardel nonostante la fama di sciupafemmine forse corrispondesse quell’amore ma non potesse confessarlo – pena la fine della sua carriera, fortuna e fama -, e che gli appassionati scambi epistolari fra i due fossero custoditi, dopo la loro morte nello stesso incidente, da un amico comune a sua volta innamorato (non corrisposto) di Le Pera.
Togliendo – senza realmente togliere – l’aura di sacralità che circonda il personaggio in Argentina ma non solo, lo spettacolo attraverso l’espediente narrativo della finzione suggerisce che il lato più intimo e le vicende private e sentimentali dell’uomo (la cui esistenza è stata condizionata, nel bene e nel male, dal successo) non potrebbero sminuirne il valore di grande artista, di cui Alfredo con le sue lettere mostra l’evoluzione umana e professionale negli anni.
Interlocutore invisibile e figura circondata per molti versi da un alone di mistero, el morocho de Abasto rivive attraverso i continui passaggi temporali e i ricordi di conversazioni avute con Le Pera, che lo rendono soggetto amato e desiderato con la profonda intensità di un amore nascosto quanto proibito.
Dato che “in ogni versione di una storia non c’è verità che non trovi luce nel suo opposto, apparentemente menzognero” – come recita la sinossi dello spettacolo – abbiamo rivolto qualche domanda a Mauro Toscanelli per avere qualche informazione in più circa la genesi della rappresentazione.
La storia che raccontate è frutto di una ricerca o è liberamente ispirata a…?
La storia è in parte frutto di invenzione e in parte nata da uno studio biografico, per quanto possibile. Alcune date e riferimenti sono veri, su questi si innesta una vicenda personale che è del tutto frutto di fantasia, nonostante alcuni vaghi e velati riferimenti.
Le lettere di cui parlate nello spettacolo esistono veramente da qualche parte, sono reperibili?
Le lettere di cui raccontiamo non esistono, almeno noi non abbiamo lavorato in questo caso su materiale esistente. Abbiamo immaginato che un amico, ormai vecchio, avesse conservato alcune lettere scambiate fra Carlos e Alfredo, insieme a programmi di teatro, biglietti e altro materiale. Come può capitare a tutti noi.
Come avete conosciuto questo personaggio mitico soprattutto per gli appassionati del Tango ma, tutto sommato, almeno nell’Italia di oggi sconosciuto ai più?
Scoperto per caso, ascoltando un brano, e da lì è partita una ricerca che ancora non finisce. Per la bellezza del timbro e del fraseggio, per il fascino dei brani, ma anche perché ogni giorno sembra cantare meglio!
Claudia Galati