Tango Adentro. Riassumere la Storia del Tango in un’ora e mezza? Si può. Lo ha fatto, con successo, l’attrice italo-argentina Sonia Belforte nel suo spettacolo “Tango Adentro”, andato in scena il 3 luglio scorso al Teatro Sala Umberto tra gli eventi in programma del III European Tango Festival. Ed è una ricostruzione ironica, basata sì sui miti del tango (Gardel, Tita Merello, Piazzolla), ma anche sui luoghi comuni sugli argentini, in una messinscena semplice animata dai due ballerini Marcelo Ballonzo e Elena Garis e un pianista, oltre che alla protagonista. Nonostante questo, ella esordisce con un “Siamo in troppi sul palco…sono stanca di ballerini di tango, non li voglio nel mio spettacolo!” Sonia è di Buenos Aires: si siede, si mette a bere il mate e si propone di descrivere la sua città sfatando lo stereotipo del tango.
Peccato che per descriverla si serva proprio delle parole delle letras di tango, intervallando i monologhi con tanghi cantati. “Lo vedi? Hai il tango dentro”, le fa notare il pianista, con il quale dialogherà spesso durante la rappresentazione. Ma lei rifiuta di identificare l’Argentina con il tango. Gli argentini sono sempre alla ricerca della loro identità: lo dimostra il tango che è “bastardo”, ossia italo-spagnolo-argentino, afferma. Ma perché il tango è nato proprio a Buenos Aires? All’epoca si migrava ovunque, prosegue nel suo ragionamento. A Buenos Aires c’è qualcosa che nasce sempre, e dopo la prima volta non la dimentichi più, è amore a prima vista. E quando te ne vai, hai sempre voglia di volver: “e anche se non volevo, si torna sempre dal primo amore.”
Ognuno ha definito il tango secondo il proprio stato d’animo, non c’è una definizione vera e propria (“serve a conquistare una donna, a ribellarsi alle ingiustizie…”). “È un lato di me stessa che non so ancora decifrare, un lato oscuro”, ammette Sonia.
È vero: la Cumparsita, Gardel, il Candombe sono uruguayani, e il bandoneón è tedesco: “allora diciamo che il tango è RIOPLATENSE!” E mentre l’attrice è intenta a cantare tanghi, i due ballerini che nel frattempo erano rimasti seduti a un tavolino ballano di nascosto mentre lei è distratta, salvo poi di tanto in tanto venir rimproverati per il loro non riuscire a stare fermi sulle note del tango.
“Il tango non mi prende, lo sto solo spiegando…” afferma Sonia senza crederci più tanto. E racconta di come il tango sia un’opera popolare, un palcoscenico fatto da e per la gente comune; che il lunfardo non sia altro che un misto di spagnolo e italiano per confondere gli sbirri; che El Choclo è stato cantato per la prima volta da una donna, Libertad Lamarque. Esistono poi tanghi allegri e tristissimi, ma nei testi si parla sempre della sofferenza degli uomini e mai di quella delle donne, la cui condizione era spesso di povere costrette a prostituirsi; “Malena” illustra come molte ragazze che si ribellavano la pagassero cara.
“Pensare che stavamo per perdere il tango per il frastuono di batterie e chitarre elettriche”, con l’avvento del rock ‘n roll. “Ma c’era una vocina che diceva: divertiti, ti aspetto dopo i 30”. Per tutto questo, alla fine, l’attrice non può che convincersi e arrendersi all’evidenza: “Oggi il tango è rientrato in patria da eroe dopo aver conquistato il mondo, senza armi ma solo con la musica”, riflette. “Alla fine il tango è Argentina, perché noi, come lui, siamo italiani, spagnoli, francesi… Il tango è Argentina perché aveva bisogno di quel fuoco per accendersi, per trovare terra fertile.” Quindi si concede un tango anche se non lo sa ballare, terminando il riuscito spettacolo con due brani di Horacio Ferrer, presente in sala: “Balada para un loco” e Maria de Buenos Aires”.
El poeta y la musica è il titolo quanto mai appropriato dello spettacolo andato in scena alla Sala Umberto il giorno successivo, che ha visto protagonista proprio l’uruguayano Ferrer, il Poeta del Tango. “Un giorno mandai il mio libro di poesie Romancero Canyengue a Piazzolla, e lui mi telefonò da Buenos Aires a Montevideo e mi disse: ‘Basta Horacio! Tu fai con la poesia quello che io voglio fare per la musica.’ Così iniziò la nostra collaborazione…” In questo modo Ferrer ha riassunto l’inizio del suo felice sodalizio con Astor Piazzolla, che ha voluto commemorare con questo spettacolo proprio in ricorrenza dell’anniversario dei venti anni dalla scomparsa del compositore, avvenuta il 4 luglio 1992. Ad accompagnare il Poeta nella declamazione dei versi dei suoi tanghi più importanti, l’orchestra Absolute Tango Quartet (formata dai solisti della Orquesta Típica Alfredo Marcucci) con Gianni Iorio al bandoneón e i due ballerini Marcelo Ballonzo e Elena Garis, già presenti nello spettacolo di Sonia Belforte.
Una rappresentazione toccante, intima, unica: ascoltare le parole ispirate del massimo poeta vivente del tango dalla sua stessa voce è un’esperienza impareggiabile. Forte ed evocativa l’entrata in scena: Ferrer recita “Existir” mentre i due ballerini danzano sulle sue parole, senza musica di sottofondo. Seguono poi scenari surreali, tristi, malinconici, rappresentativi spesso di un’umanità ai margini: Lo que vendrá, Balada para mi muerte (quasi sussurrata, salmodiata), Fracanapa, Chiquilín de Bachín, Prepárense, Cancion de las Venusianas (un’allegoria sull’incredulità, ballata soavemente da Elena con un ombrello), Escualo, La bicicleta blanca, La última grela, S.V.P., Preludio para el ano 3001, Oblivion, Lulù (vals), Adiós Nonino (dedicata al maestro Alfredo Marcucci), Balada para un loco, Libertango. Con Mi viejo Piazzolla Ferrer saluta il pubblico e soprattutto il suo grande amico, onorandolo con una declamazione solenne, quasi sacrale.
Claudia Galati