Vi sarà spesso capitato di assistere ad esibizioni di tango in cui i ballerini compiono evoluzioni pirotecniche e spettacolari, con gambe che volano a destra, sinistra e fin sopra la testa. Stiamo parlando del cosiddetto tango de escenario, da spettacolo appunto. Vistoso, moderno, ma non certo il più “genuino”. Se invece vogliamo parlare di tango “originario” dobbiamo tornare a quello stile che i cosiddetti “vecchi milongueri” -ballerini che non hanno mai studiato in una scuola e hanno imparato a ballare esclusivamente in milonga, osservando la gente in pista- hanno diffuso in tutto il mondo e che continuano a praticare tutt’oggi, senza lasciarsi contaminare dalle mode.
A Buenos Aires ne abbiamo conosciuti alcuni, e anche a Roma abbiamo incontrato lo scorso ottobre uno dei rappresentanti di questa guardia vieja: Ricardo Maceiras, meglio noto come El Pibe Sarandì. Tra lezioni ed esibizioni (con la maestra italiana Cinzia Lombardi), abbiamo avuto modo di porgerli qualche domanda per approfondire la carriera e la vita di un personaggio semplice e simpatico, che sul tango ha molto da raccontare…
Partiamo dal soprannome: perché ti chiamano El Pibe Sarandì?
Questo soprannome viene dall’anno 1960. Allora avevo 18 anni, ed era molto atipico a Buenos Aires vedere una persona giovane ballare il tango -la donna più giovane in una milonga aveva 50 anni!- Quindi quando andavo in una milonga richiamava l’attenzione un ragazzo giovane in pista. La gente si chiedeva: “Chi è questo ragazzo?”, e rispondevano: “El Pibe Sarandì”. Pibe perché iniziai a ballare a 13 anni (da ragazzo), e Sarandì dal nome del quartiere dove sono nato. Da qui il mio soprannome.
Hai cominciato a ballare quando è iniziato il cosiddetto “tango muerto”: cosa ha comportato ballare il tango a quell’epoca, durante la dittatura?Dal ’55 all’85 si parla di “tango muerto” perché dagli anni ’50 il tango inizia un po’ a decadere, e dal 1955 (l’anno in cui iniziai a ballare) si instaurò un governo filo-militare a cui non piaceva molto il popolare (perché i militari sono incondizionatamente contro la volontà del popolo), che quindi iniziò a diffondere la musica straniera come il rock ‘n roll, e il tango entra in una fase calante. Volevano eliminarlo del tutto, ma fu impossibile perché nonostante si correva il rischio di finire in prigione se si andava a ballare il tango la gente continuò ad andare in milonga, ed è grazie a loro che oggi si balla ancora il tango, che altrimenti sarebbe scomparso. Non potevano stare insieme più di tre persone altrimenti le arrestavano, però, grazie a Dio, non poterono fare niente al tango perché Buenos Aires è una delle poche città al mondo che ha una musica propria: il tango appunto.
Le dittature furono terribili per il mio paese per la quantità di desaparecidos, 30 mila, giovani come voi, uccisi perché non erano d’accordo con il governo… Fu una cosa molto grave, un genocidio.
Negli anni ’40 ci fu il picco massimo del tango, tanto che allora si diceva: “questo è figlio del tango”, perché la mamma e il papà si conoscevano ballando il tango, ma già dopo quest’epoca questo non accadeva più tanto. Il tango ha avuto la sua evoluzione in tempi diversi. Attualmente, il tango socialmente unisce gente sola, fa incontrare persone che stanno separate: oggi è questa la funzione sociale del tango a Buenos Aires e nel
mondo.
Tu hai imparato a ballare il tango da autodidatta…
Ti spiego perché. Nel 1955, quando iniziai a ballare, il tango era entrato nella sua epoca calante, quindi non c’erano né maestri né scuole. Perciò appresi solo guardando la pista, quindi sono autodidatta per questo: ho uno stile mio, che può piacere o no, però è MIO. Non l’ho copiato da nessuno, i passi che hai visto ieri durante l’esibizione (il 16 ottobre 2010 alla Milonga della Stazione, n.d.r.) sono frutto della mia creatività.
Oggi c’è molta gente giovane che balla MOLTO bene, però ha poca creatività, non ha un ballo proprio, ballano tutti uguali. A Buenos Aires sto molto in contatto con la gente giovane, cerco di aiutarli e incoraggiarli perché amo il tango, e penso che i giovani lo continuano.
Per quale esigenza vengono aperte le scuole di tango?
Ti spiego una cosa che non è molto chiara: una cosa è ballare il tango e una cosa è insegnare il tango. Ci sono molti bravi ballerini che però non hanno la vocazione della docenza del tango, gente che non ha pazienza, a cui non piace insegnare il tango. L’insegnamento del tango è una vocazione. È come il maestro: un maestro è preparato a trasmettere le sue conoscenze. Io ho formato una struttura del mio ballo che cerco di insegnare insieme a quello che ho imparato quando ero ragazzo. Sono in milonga da 55 anni, quindi l’unica cosa che insegno è il mio stile. Cerco di essere il più possibile onesto con i miei allievi e dico loro: se volete un maestro per l’escenario, per il tango commerciale, io non lo sono. Io non faccio mai coreografie, improvviso continuamente, non ballo mai uguale con nessuna. Per stile sì perché è il mio modo di ballare, ma di passi mai uguali.
Io trasmetto questo aspetto ai miei allievi, e dico loro: con me s’impara a non copiarsi, s’impara come ascoltare la musica, a transitare sulla pista come si deve transitare… questo è più o meno quello che io faccio in Europa, e se sono 16 anni che continuano a chiamarmi vuol dire che piaccio alla gente, sennò non mi chiamerebbero più! E non è solo per l’insegnamento: è importante il rispetto che si ha per l’allievo, il modo di trattarlo. Io sono il contrario dell’arroganza, cerco di essere il più umile possibile nell’insegnamento e quando mi esibisco con qualcuna, e questo arriva alla gente, per questo piace quello che faccio.
In base alla tua esperienza, qual è il comportamento da tenere in milonga?
Ci sono codici che sono andati perduti e altri che stanno perdendosi. Sono molti anni che conosco la milonga, e ci sono comportamenti che mi piacerebbe si mantenessero come prima. Ad esempio, sto ballando in una pista piena di gente, termina la tanda e vado già a cercare un’altra donna. No! Non è così! Io vado a cercare un tavolo, quando termina la tanda ti porto al tavolo e ti dico: tante grazie per aver ballato con me. Il milonguero sa che basta guardare in faccia una ragazza per ballarci, e che la ragazza fa quello che decide, il milonguero rispetta molto la donna, per questo ti dico che non la può lasciare in mezzo alla pista, deve accompagnarla dove era seduta.
Un altro comportamento. Io sto in una milonga, e se ti chiedo di ballare possono succedere due cose: o tacitamente ti sto obbligando, ti metto in imbarazzo, o mi piace una ragazza e non la invito a ballare perché ho paura che dica di no. Non è così. Per me sarebbe peggio che tu ballassi con me senza avere voglia di ballare con me. Per questo il codice del cabeceo è meraviglioso, perché c’è un accordo PRIMA di ballare: tu mi hai guardato, io ho guardato te e ti ho fatto cabeceo, e tu hai acconsentito con la testa di ballare. È un codice che porto dentro di me e non lo cambio. Io sono milonguero come voi, e quando arrivo in una milonga guardo la pista e dico: ballo con questa e quest’altra. Se non mi guardano io non ballo, parlo con i miei amici e poi torno a casa. Io non ballo per sport, mi piace ballare con una donna con cui voglio ballare, e per la donna è lo stesso. Quindi se io ti cerco con la mirada è perché anche tu mi stai guardando, è questo il bello. È una comunicazione tra uomo e donna: la comunicazione nel ballo del tango è una SENSUALITÀ, NON una SESSUALITÀ.
Il momento più emozionante della tua carriera?
Uno dei momenti più indimenticabili fu il primo lavoro professionale nel 1964, quando avevo 22 anni e il tango a Buenos Aires era in ribasso. Allora ebbi la fortuna di essere convocato da due delle più grandi figure di tango che insegnarono anche in Europa e Stati Uniti, una coppia molto conosciuta a Buenos Aires: Gloria ed Eduardo. Io e Carlos Gavito, il mio amico da sempre, che viveva nel mio stesso quartiere, andammo in una pratica di rock ‘n roll e incontrammo Eduardo, il quale ci disse: “Ho una compagna e un lavoro per voi”. Accettammo e debuttammo in uno spettacolo televisivo su Canal Once”, che andò in onda fino al ’67 e si chiamava “Yo te canto Buenos Aires”. Lì conobbi tutti: Troilo, i cantores… immaginate che avevo 22 anni! Finita questa esperienza Gavito formò la sua coppia e andò fuori Buenos Aires, in Colombia e in Europa, ed ebbe una carriera importante come ballerino e maestro. Ora che arrivo io in Europa è facile, ma quando venne lui il tango non esisteva ancora.
Dal 1985 il tango cresce per la prima volta in Europa dopo la musica e i cantanti, è il suo risorgimento, e iniziarono a fiorire le scuole e i maestri. Da allora ho vissuto molte belle esperienze: una volta lavorai ad Amburgo e conobbi un cantante argentino, Cayo Rodriguez, che viveva lì da 30 anni, il quale mi regalò la partitura di una letra, una milonga che si chiamava “El Pibe Sarandì”. A Buenos Aires cercai i musicisti per farla suonare, quando Cayo mi scrisse: “Maestro, ti mando un regalo. Vai su Youtube e cerca Homenaje al Pibe Sarandì”: appariva un teatro grandissimo, lui cantava e l’orchestra che suonava era la Filarmonica di Berlino! Mi emoziona molto che la gente balli una milonga dedicata a me!
Mi è rimasto impresso anche quando andai a Londra in una milonga gestita dalla rivista inglese L’Once. La milonga si chiama “La Cripta” perché sta in una cripta, e nella classe vennero 93 persone! O anche a Torino, dove vive una coppia da molti anni che balla il mio stesso stile con umiltà, senza arroganza e ha una buona scuola, con cui ho lavorato molto. Mi dà allegria il bel modo in cui mi tratta la gente. D’altronde, se dai amore ricevi amore, non ci sono altre risposte.
Qual è l’orchestra che ti piace ballare di più e perché?
Nel ’55, quando inizia la decadenza del tango, non si potevano pagare più le orchestre perché costavano molto e non c’erano i ballerini, quindi i grandi maestri come Di Sarli e Pugliese iniziarono a far musica non tanto da ballare ma da ascoltare, Di Sarli un po’ più lento ma Pugliese dai ’60 in poi è impossibile da ballare. Nel ’49, quando accompagnai mia sorella in una milonga perché mio padre non voleva mandarla da sola, l’unica cosa che poteva divertirmi era l’orchestra, e apparve quella di Osvaldo Pugliese con il suo cantante italiano, Alberto Morán.
Tornando alla domanda, se in una milonga non ascolto Di Sarli-Rufino, Troilo-Fiorentino, D’Agostino-Vargas non è una milonga per me. Gran parte delle 66 letras di Troilo-Fiorentino le conosco a memoria, come un record!
Da giovane avevo tanto entusiasmo per il tango che il cantante Alberto Marino detto “Marinaro” mi insegnò molte cose, ad esempio la suddivisione fra i cantores: lui, Durán e Alonso erano cantores di diaframma, che spingevano cioè sul diaframma per cui la voce saliva da dentro; gli altri sono detti chansonnier, dal francese (in inglese crooner), e significa voce piccola ma con sentimento, parole e cuore mentre cantano, come Rufino, Fiorentino, Floreal Ruiz. Poi mi spiegò i “poeti”: Discepolo è il più grande filosofo che scrisse di tango. Le sue letras sono di una disperazione totale: il mondo fuori era una porcheria -sembrano testi del 2000, e invece li scrisse nei ’50! Dopo di lui vennero i “metafisici” Homero Esposito e Homero Manzi.
I poeti più grandi erano secondo Marino Celedonio Flores ed Enrique Cadícamo. Conosco un’infinità di aneddoti su musicisti, ballerini, cantanti…
Una ballerina che ricorda con piacere?
Cinzia Lombardi ad esempio, con cui ho ballato molto bene ieri. Ho avuto molte compagne negli anni, ma la mia esperienza mi insegna che il tango ha una grande virtù: quello che piace a uno non piace all’altro. Se a tutti piacessero le stesse cose sarebbe noioso, quindi la virtù del tango è che il tango non ha numeri uno (l’unico numero uno è Gardel, ma questa è un’eccezione), perché ognuno ha gusti propri.
Una delle ballerine che mi piacciono di più è Erica Boaglio, che balla con il marito in Italia, hanno una compagnia e hanno anche lavorato in “Tango x 2” di Miguel Angel Zotto. Le piace ballare con me e a me piace ballare con lei perché ha un sorriso che conquista tutto il pubblico, oltre al fatto che è molto bella anche se non è più giovane. Ha l’allegria dipinta sul volto quando balla e un modo di ballare molto bello. Poi ne ho viste molte brave: Milena Plebs, e fra le giovani Geraldine Rojas. Tra i ballerini, della generazione dai ’90 in poi uno dei più grandi è Miguel Angel Zotto e lo è stato anche il fratello Osvaldo.
Quando ho iniziato a ballare ho scoperto che a Buenos Aires c’erano due stili di tango: quello del Sud e quello del Nord. In quello del Nord (Portalea,…) la postura era molto importante, così come i passi lunghi e l’eleganza nel ballo; i ballerini del Sud invece, come me e Pepito Avellaneda, giocavano più con i piedi.
Il tango è la mia vita: vivo per il tango e vivo DEL tango.
Claudia Galati