Il nostro corrispondente da Buenos Aires Julio Dupláa ha voluto rendere omaggio ad Alejandro Washington Alé, in arte Alberto Podestá, suo amico e cantor d’eccellenza, in occasione del suo 86esimo compleanno (festeggiato il 22 settembre scorso) con un’intervista, che vi proponiamo in attesa di rivederlo in concerto a Roma…
Hai iniziato a cantare a 15 anni. A quella età la voce di un ragazzo è ancora in evoluzione. Come hai capito che la tua voce era quella giusta e che cantare sarebbe diventato il tuo mestiere?
Io sono arrivato fino al sesto grado (l’equivalente della nostra I media, n.d.r.): con difficoltà, ma ci arrivai. Come molti ragazzi della mia epoca iniziai a cantare a scuola, e anche in un programma radio che faceva una maestra nel mio paese a San Juan. Il programma si chiamava “Rayito de Sol” (raggetto di sole, n.d.r.), ed era dedicato al pubblico infantile.
Ogni alunno doveva interpretare una canzone in voga, e siccome io ero ammiratore di Gardel cantavo pezzi del repertorio del Zorzal. Da lì viene il soprannome che mi davano da ragazzo: “Gardelito”.
Io non sapevo se sarei divenuto un professionista o no, io continuavo a cantare.
Passò il tempo e una volta, stando in tournée, il duo comico Buono-Striano arrivò a San Juan. Mi ascoltarono cantare e mi invitarono ad andare a Buenos Aires con la promessa di mettermi in contatto con i tangueros del momento.
Un altro che mi ascoltò a San Juan fu Hugo del Carril, che ricordo come un tipo meraviglioso. Non credo che esista un altro uomo altrettanto corretto e giusto come lui.
Hugo del Carril mi disse che avevo talento ma che dovevo andare a Buenos Aires perché lì accadevano le cose importanti, e inoltre mi disse di andarlo a trovare perché mi avrebbe aiutato a sviluppare la mia carriera.
In quali orchestre hai cantato?
Il mio nome artistico me lo ha messo Di Sarli, perché io cantavo come Juan Carlos Morel.
Dal 1939 iniziai a cantare con Miguel Calò. Nel 1942 passai a cantare con Di Sarli. Poi cominciai a cantare con Pedro Laurenz. E nel 1945 fui il cantante di Francini-Pontier. Anche Héctor Grané e Edgardo Donato mi hanno avuto come cantante. Nel 1952 cominciai come solista.
Come erano i cabaret dell’epoca?
In generale i cabarets erano grandi saloni con un’ampia pista da ballo circondata da tavolini e un bancone; il tutto ben illuminato, a differenza delle boîtes che erano più piccole e oscure. Alla porta c’era sempre un uomo in uniforme con il frac, bottoni dorati e una copera con il nome del cabaret in cui si ballava.
Anche se venivano persone in coppia, la maggior parte erano uomini soli o in gruppo, che andavano per le accompagnatrici o coperas. Gli uomini andavano al cabaret per sedurre qualcuna di queste o per ascoltare la loro orchestra preferita. In ogni cabaret c’era un’orchestra di tango e una di jazz, e a mezzanotte si presentava uno spettacolo chiamato “el varieté”, in cui si presentavano diversi numeri artistici.
Come sei giunto nell’orchestra di Di Sarli e com’era lavorare con lui?
Cantavo con Caló nel cabaret Singapur, quando una notte mi diedero un biglietto da visita di un certo signor Vázquez, che era il rappresentante di Carlos Di Sarli. Da quando mi diedero il biglietto da visita fino alla fine del concerto un gelo mi attraversò il corpo. Però giuro che cantai come non mai. Immaginatevi, poter cantare con Di Sarli, prima di compiere 18 anni. Era un sogno!
E arrivò il giorno dell’appuntamento. Fu normale. Non lo avevo detto a nessuno, neanche a Pontier e neanche a Francini. Parlammo a lungo fino a che mi fece l’offerta. Neanche ci pensai su, dissi subito di sì e rimanemmo d’accordo che il giorno seguente sarei andato dal maestro.
Per sintetizzare: tra il sí a Vázquez, l’incontro e l’approvazione di Di Sarli, il provarmi gli abiti, dire a Enrique e Armando (Pontier e Francini) che me ne andavo dall’orchestra, dire lo stesso a Miguel Caló, ricevere disapprovazioni di ogni genere da lui e da suo fratello Roberto e il debutto con Di Sarli successero molte cose.
Di Sarli mi chiese il cognome e poi disse: “Ragazzo, Alé non va. Qual’è il cognome di sua madre?” Risposi: “Podestá”, e aggiunsi che c’erano già molti cantanti con questo cognome. Allora ascoltai una saggia sentenza di don Carlos Di Sarli: “Ragazzo, da oggi lei sarà Alberto Podestá e di tutti i cantanti con questo cognome sará l’unico che lo fará per più tempo”.
Si lavorava molto bene con Di Sarli, era molto paterno con i suoi cantanti e anche con i musicisti.
Come ti ha cambiato la vita lavorare come cantor de tango?
Una delle cose più belle della vita è poter vivere di quello che ti piace, e per me cantare in quelle orchestre fu la cosa più meravigliosa che potevo sperare.
Che ruolo ha avuto ed ha il cantante nella storia del tango, e che cambiamenti hai registrato dall’epoca d’oro ai giorni nostri?
E’ impossibile precisare la data esatta dell’inizio dell’epoca in cui apparve il cantor de la orquesta, perchè per un periodo il “cantante nazionale” e lo estrebillista (cantante di tango che intonava il solo ritornello, n.d.r.) convissero con il cantor de la orquesta, che sorge alla fine degli anni Trenta.
Già nel 1933 l’orchestra di Francisco Lomuto dava al suo cantante, Fernando Díaz, uno spazio più grande di quello di un semplice estrebillista, però ancora aveva un ruolo secondario rispetto all’orchestra.
Il momento di unione tra il cantor de orquesta ed il suo antecedente estrebillista va cercato nell’apparizione delle nuove orchestre che sorsero nella metà degli anni Trenta e all’inizio della decade seguente. Queste orchestre diedero forma a questo fenomeno rinascimentale che furono gli anni Quaranta.
Aníbal Troilo, che debuttò con la sua orchestra il 1º luglio del 1937, il 4 marzo del 1941 registrò per la prima volta un tango cantato, “Yo soy el tango” con la voce di Francisco Fiorentino, e credo che questo brano sia il simbolo del cantor de la orquesta.
Chi consideri oggi possa diventare il tuo “erede”?
Sono molti i giovani che continuano ad apparire nella canzone porteña. Non credo che uno solo sia il mio erede, perché ascoltando questi ragazzi traggo la conclusione che il futuro del tango sia in buone mani.
dal nostro corrispondente da Buenos Aires
Julio Dupláa