Ignacio Varchausky, fondatore dell’Orquesta El Arranque, ha tenuto l’interessante conferenza del titolo sull’evoluzione stilistica del tango (con ascolto guidato dei brani caratteristici, presi dall’Archivio digitale del tango da lui curato) lo scorso 12 settembre 2010 all’Auditorium Parco della Musica, in occasione della terza edizione del festival “Buenos Aires Tango”. Come annunciato nel precedente numero di Tango In Roma, ne riassumeremo ora il contenuto.
Tra le prime orchestre a gettare le basi stilistiche del tango come lo conosciamo noi c’è quella di Juan Maglio Pacho: siamo nel 1912, ed egli può essere considerato il primo bandoneonista professionista (arriva a far suonare al suo strumento 71 note!). Il bandoneón è uno strumento di origine tedesca, di chiesa, arrivato in Argentina nel XIX secolo con l’immigrazione. È uno strumento raro, parente della fisarmonica: vibra con l’aria, come l’armonica, ma a differenza della fisarmonica non ha il piano. Inoltre, nel bandoneón le note non sono messe in ordine logico-consequenziale (es. do-re-mi…), ma la mano sinistra ha le note messe in ordine diverso da quelle della mano destra, e quando chiude ha note diverse. “Per questo i bandoneonisti sono pazzi!”, scherza Ignacio per ribadire la difficoltà dello strumento.
Il quartetto di Pacho è composto da chitarra, bandoneón, flauto e violino; il pianoforte entrerà nei ’20, quando l’alta società inizierà a possedere il pianoforte a casa.
Con questo disco del ’12 inizia il tango come lo conosciamo noi. L’ascolto di qualche brano del quartetto di Pacho -artista “talmente dimenticato che in Argentina non ci sono suoi dischi”, ammette Varchausky,- rivela un ritmo antico e semplice: la chitarra fa la base ritmica mentre gli altri strumenti suonano la melodia in armonia, ossia fanno tutti la stessa nota all’unisono, in modo legato. Quindi all’inizio il tango non aveva una forma tanto ritmica e articolata.
Una stessa musica si può articolare in forme diverse: si creano così arrangiamenti diversi di una stessa melodia. Nel tango moderno degli anni ’20-’30 il repertorio di articolazione definisce il genere: non ha importanza cioè che musica si suona, ma COME si suona. All’epoca di Pacho si stava inventando.
I dischi antichi sono per esperti, e questo disco di Pacho contiene classici antichi come Emancipatión, che Pugliese rifarà nei ’50. Questo disco è la prova storica (perché i passaggi ascoltati sono inconfondibili) che parte della Cumparsita esisteva prima di essere la Cumparsita: la leggenda narra che Pacho scrisse la musica e non la registrò come propria, e che Matos Rodriguez scrisse il testo nel ’15-’16 e portò lo spartito a Firpo (il responsabile dell’ingresso del pianoforte nel tango)…
Nel 1920 inizia il primo cambio storico: il ritmo inizia ad essere marcato in quattro tempi.
L’Orquesta tipica Select fu il primo gruppo ad usare il marcato in quattro in forma significativa. Riunì Osvaldo Fresedo (uno dei primi bandoneonisti professionisti) e Roccatagliata (padre del violino tanguero, inventa una serie di effetti). L’ascolto di qualche brano dell’orchestra delinea un ritmo tipo marcia, e la scrittura dell’arrangiatore ora si può ascoltare e apprezzare: c’è molto lavoro nella scrittura, mentre prima essa era più semplice, c’è più informazione.
L’arrangiatore è una figura importante: è il musicista che stabilisce quale strumento suona e quando, oltre alla struttura (con la partitura in bianco). Prima non c’era tutto questo lavoro, ora si producono cose più elaborate, musicalmente più ricche. Ci sono più informazioni nello stesso tempo: in Pacho la chitarra fa la base e gli altri strumenti fanno la melodia tutti insieme; nei ’20 il pianoforte fa la base, bandoneón e violino fanno la melodia e il violoncello fa il controcanto. Perciò questo disco dell’Orquesta Select è un importante documento storico dell’avanzamento della scrittura del tango.
La tappa seguente, importante per l’evoluzione del livello di scrittura e sonorità dell’orchestra tipica di tango, giunge negli Anni ’20-’30 con il sestetto di Julio De Caro. Questo è un disco che non può mancare in nessuna discoteca del tango. De Caro è inteso come tango moderno, quasi come quello che si balla oggi. Il suo sestetto era composto da: 2 bandoneón, 2 violini, 1 pianoforte e 1 contrabbasso (che aiuta il pianoforte a mandare avanti il ritmo). Qui la chitarra è rimpiazzata dal pianoforte, il quale marca l’assenso sociale del genere e diventa simbolo dell’alta società.
L’Orquesta Tipica di tango della fine degli Anni ’30 è composta da 4 bandoneón, 4 violini, 1 viola, 1 violoncello, 1 pianoforte.
La scrittura con De Caro diventa più elaborata e completa. Non è sempre lo stesso tempo, ma ci sono fluttuazioni, variazioni. Ora i vari strumenti danno informazioni distinte. In particolare, il suono del violino di De Caro è speciale: si indica come Violin Corneta (di metallo, non di legno) perché amplifica il volume (ma la qualità del suono non è buona), dà un suono nasale, e De Caro lo usa come marca del suo stile. Dalla metà degli anni ’20 si parla di “scuola decariana”, tanta fu la sua influenza, e indica uno stile stabile, marcato, stilisticamente molto difficile da suonare.
Francisco Canaro è legato maggiormente ad un’estetica più tradizionale. Siamo nel 1931, e il ritmo è in quattro, stabile, e la melodia non ha alcun fraseggio, è lineare. Perciò di moderno c’è l’articolazione (in Pacho era tutto legato, tipo organo) mischiata al legato. Due brani esemplificativi noti a tutti sono la Yumba, in cui è tutto articolato, e la Mala Junta, nella cui esecuzione da parte dell’orchestra di Canaro (la versione originale è di De Caro) si notano articolazione e fraseggio. Il fraseggio si usa molto nel tango, e cambia da un artista all’altro: la partitura originale è sempre uguale, mono-tono, è il fraseggio che la cambia.
Juan D’Arienzo è uno dei più importanti compositori di tango e uno dei più venduti. Tutti dicevano che non era un bravo violinista, ma la sua Orquesta Tipica ha marcato la storia del tango perché generò un interesse, un entusiasmo nei ballerini che rivoluzionò il tango, il quale negli anni ’20 non era molto popolare: si suonava nei caffè, nei bar, nei cabaret e nelle sale cinematografiche fino agli anni ’30, quando il cinema divenne sonoro e il tango perse il suo spazio per suonare.
Nel 1936 appare l’orchestra di D’Arienzo: energica, elettrica, molto ritmica, buona per ballare, con una formazione grande (fa nascere l’Orchestra tipica di 12 persone come la conosciamo noi). D’Arienzo fu anche uno dei più prolifici artisti di tango: tra il ’35 e il ’75 pubblicò ben 100 dischi!
Nel disco del ’37-’38 già c’è il pianista fondamentale (al pianoforte suona Rodolfo Biagi), il quale lo ha aiutato a creare il suo stile. Musicalmente la partitura (lo scritto) è semplice, mentre stilisticamente (come si suona) è molto complessa -al contrario di Piazzolla la cui scrittura è difficile ma “facile” da suonare-. Gli elementi stilistici caratteristici di tutta la produzione di D’Arienzo sono:
1- Tempo e velocità. Essi sono sempre gli stessi dall’inizio alla fine del pezzo (a differenza di De Caro): difficile da suonare per 12 persone contemporaneamente, tutte mantenendo sempre lo stesso tempo.
2- Il pianoforte commenta la melodia, la riempie, la completa (melodia principale: bandoneón e violino).
3- Variazione virtuosa dei bandoneón. La variazione nel tango avviene quando i bandoneón suonano una melodia e la dividono in note più corte, più brevi (cioè di minor valore), suonando quindi più note. Questo elemento sarà molto abusato dagli anni ’30 in poi: quasi sempre la variazione viene alla fine del tema, per farlo rapido e spettacolare, per cui gli autori successivi si sono sentiti obbligati a farlo, creando un effetto monotono.
Le variazioni virtuose di D’Arienzo sono spettacolari, rapide, perfette, ma sono anche difficili da eseguire, anche perché non sono le stesse note, ma complementari. Inoltre, in genere le variazioni si scrivono in semicrome, mentre D’Arienzo qualche volta mette la terzina (3 note di uguale valore in un unico tempo): energico, stimola il ballo.
4- Il violino suona tutti i passaggi solisti con i gravi dagli Anni ’30.
5- Accentuazione esagerata dei tempi deboli. I tempi forti in musica sono 1 e 3, mentre D’Arienzo usa come effetto ritmico l’accentuazione esagerata di 2 e 4 (soluzione poco usata in seguito).
Con D’Arienzo e la nascita dell’Orchestra tipica si conclude la panoramica dell’evoluzione degli arrangiamenti che hanno creato il tango come lo conosciamo oggi, che Varchausky ha proposto come anticipazione del libro da lui scritto su questo tema.
Claudia Galati