La prima intervista che abbiamo voluto proporre ai lettori di Tangoin è quella ai maestri di tango Marcelo Guardiola e Giorgia Marchiori, esponenti autorevoli del tango capitolino, professionisti indiscussi che avrete modo di conoscere meglio all’interno del nostro giornale.
Coppia nel ballo come nella vita, i maestri hanno risposto insieme alle nostre domande, ripercorrendo la loro carriera dagli esordi ad oggi, analizzando i cambiamenti che il tango ha subito negli ultimi anni sia a livello di immagine sia a livello di fama internazionale, con uno sguardo particolare sulla realtà in cui lavorano attualmente.
Marcelo Guardiola, Bahía Blanca, e Giorgia Marchiori, Roma, Diplomi d’onore Buenos Aires nel 2004. Come succede tutto questo?
Con Giorgia ci siamo conosciuti a Roma nel 2003. Tornato a Buenos Aires, dopo pochi mesi lei mi viene a trovare e, tra le altre cose, andavamo a ballare il tango. Allora non eravamo una coppia di ballerini bensì una coppia di innamorati con un bel problema: abitavamo con l’Oceano Atlantico nel mezzo. Una sera in una milonga ci si avvicina Vilma Heredia, creatrice della distinzione “Pa’ que bailen los muchachos” che da tanti anni elargisce diplomi a milongueri, maestri, maestri di maestri, ecc., e ci dice che le piace molto la nostra forma di ballare, elegante e a terra, precisamente “peinando el piso” (pettinando il pavimento). Prima di finire la serata Vilma ci comunica che quell’anno il diploma “milongueri-ballerini nuova generazione” (“Milonguero-Bailarín Nueva Generación”) lo avrebbe dato a noi. Questo fu come un segno del destino che ci incoraggiò a lavorare insieme.
Quando avete iniziato ad insegnare tango in Italia che contesto avete trovato, quale era la diffusione del tango tra la gente, che idea c’era del tango?
Forse nel momento in cui noi abbiamo iniziato a insegnare il tango era più esotico. La gente era curiosa, forse vedeva qualcosa al di là della danza, un interesse culturale. Però ovviamente quello che arrivava era Piazzolla e i film in inglese: una visione piuttosto limitata del tango. Comunque penso che in fin dei conti le cose non siano cambiate tanto, a parte il fatto che per molti “improvvisati” è diventato un commercio.
Tango vecchio e tango “nuevo”. O il tango è sempre il tango?
Il Tango è sempre il Tango, quello che cambia è la società, le persone. Le nuove tendenze non sono altro che persone che si avvicinano al tango e che non potendo capirne l’essenza, per pigrizia o per mancanza d’intelligenza, lo contaminano con cose che sono facili per loro ma che non appartengono assolutamente al tango.
La metà delle milonghe di Roma si trova in zona San Lorenzo, Pigneto-Torpignattara, Quadraro e dintorni: quartieri “popolari”. Il tango è ancora un ballo popolare?
In Argentina è popolare, perché nella milonga trovi dal ragazzo all’anziano, dall’operaio all’imprenditore, atei, ebrei, cattolici, l’alcolista, la zitella, lo sportivo, l’ artista, il ladro, il professore, tutte le sfumature del popolo.
Tra queste milonghe “popolari” si inserisce la Milonga del Popolo. Come inizia questo “bailongo fulero”?
Quando siamo entrati per la prima volta alla Casa del Popolo di Torpignattara ho pensato: che bel posto per fare una Milonga! Si avvicina più di tutti al nostro “Club de Barrio”, una specie di circolo sociale dove potersi riunire per giocare a carte, prendere il vermut, fare un corso di yoga per adulti, un corso di teatro per bambini e una volta alla settimana la serata di tango, ossia la “Milonga”. A Buenos Aires sono organizzati in questo modo il “Club Sin Rumbo”, il “Club Sunderland” e il “Club Rivadavia”, tra gli altri. Tuttavia l’idea di fare la Milonga del Popolo non era la mera imitazione fisica di una milonga argentina, bensì la ri-creazione della sensibilità di questa, per far sentire cos’è una milonga. Quando io arrivo per la prima volta in una milonga popolare davanti alla porta c’è una persona che mi dà la mano, si presenta e con tre parole mi dice come funzionano le cose per potermi così sentire come a casa, e già dalla seconda volta mi saluta come un amico. Invece all’estero ci sono milonghe dove quando arrivi ti salutano senza guardarti, paghi il biglietto ed entri da solo, da solo ti cerchi un posto per sederti e se non lo trovi sono fatti tuoi perché sei arrivato tardi. In ogni momento ti senti un cliente. Queste ultime sono le milonghe commerciali. Oggi a Roma ci sono organizzatori di milonghe che non sono mai entrati in una milonga argentina e che nemmeno ne conoscono i codici: una milonga ha la capienza dei suoi posti a sedere, a un milonguero non deve mai mancare una sedia per riposare e un tavolino dove poter appoggiare il bicchiere e la bottiglia.
Musicista, attore, regista e ballerino: parlaci un po’ di te.
Io vengo da una famiglia di musicisti: mio nonno era guitarrero, suonava la milonga surera e mio padre il bandoneon. Ho cominciato il conservatorio di musica quando avevo 8 anni e ancora non l’ho finito. Quando ero ventenne ho iniziato con il teatro e il tango quasi contemporaneamente, in un momento in cui il tango lo ballavano i vecchietti e la bohème artistica. Il mio primo maestro milonguero fu Mingo Pugliese. Alla fine degli anni ’90 ho intrapreso una ricerca teatrale col tango e ho creato una metodologia di sperimentazione. Oggi sono il regista della compagnia TangoTeatro e con Giorgia presentiamo i nostri spettacoli in tutto il mondo.
TangoTeatro: tango al servizio del teatro o viceversa?
Il teatro e il tango non si trovano in un rapporto di subordinazione, ma costituiscono un’unica realtà. TangoTeatro è musica, danza e una storia. Il teatro è il formato e il tango è il mezzo per poter raccontare. La cosa più sublime per un artista è avere qualcosa da dire e farlo attraverso la propria disciplina.
Oltre 500 mila visitatori de El Choclo su Youtube. Il tango è da campionato mondiale?
La tematica de El Choclo è il buffo percorso storico del tango che da danza proibita arriva ad essere una danza da campionato mondiale. Pensiamo che il successo della performance El Choclo derivi da un lato dall’attualità di ciò di cui si parla, che non riguarda solo il tango ma l’intera società capitalista contemporanea (il tango ne è solo un esempio), superficiale, commerciale e priva di poesia; dall’altro dal fatto che la tematica di cui si parla è trattata con ironia. In più il linguaggio corporeo è diretto, chiaro e facile da capire: con una coreografia abbiamo parlato di una problematica sociale che riguarda tutti.
E tango patrimonio dell’Unesco?
Patrimonio culturale è quello riconoscibile come proprio di una comunità, in questo caso quella argentina. L’Unesco propone, tra le altre cose, programmi specifici di “salvaguardia” del patrimonio scelto, patrimonio che nella maggioranza dei casi viene dato a forme culturali appartenenti a società passate. Penso che dietro a tutto ciò ci sia qualcosa di morte, sembrerebbe che il Tango nella sua evoluzione stia perdendo la sua essenza ossia l’anima che gli dà la vita e che ne ha fatto l’espressione poetica di un paese. Non è un caso che si balli la musica degli anni ’40 che, ovviamente, rispecchia la società di quel tempo. Oggi infatti manca la poesia.
C’era una volta il Tango o c’è ancora?
Di questo parla il nostro spettacolo “Habìa una vez el Tango”. Ci fu un tango proibito, del bordello, di gente malfamata. Ci fu un tango popolare, di grandi orchestre, di tanta gente che ballava per piacere della musica. C’è un tango omologato, di supermarket, il “Mc Tango” come mi ha detto Omar Viola, musicalmente commerciale e di passi standardizzati. In una riunione con altri amici maestri in Argentina si parlava di come vedendo ballare una persona si riconoscesse il suo insegnante, cosa che prima neanche si pensava perché la personalità, l’eleganza e la musicalità dovevano essere l’impronta personale di ogni ballerino. Nel ballo del Tango deve essere la musica quella che scolpisce la forma.
C’era una volta il tango e ci sarà il tango finché esisterà la sua musica.
Claudia Galati